Nababbo
22 luglio 2013
Cominciamo col dire che questa è solo una prova, tanto per vedere se sei in grado di scrivere qualcosa che abbia un senso. Un grande aiuto, o più realisticamente, un requisito fondamentale sarebbe avere un'idea di cosa si voglia scrivere.
Queste prime tre righe partorite senza dolore sembrerebbero suggerire che rimanere in un terreno autobiografico possa sopperire alla mancanza di un tema portante. Un tema portante studiato a tavolino. Non questa improvvisazione che potrebbe tradirti da un momento all'altro. Che è già lì che ti guarda di sottecchi, come per valutare se tu possa essere degno di almeno cinque minuti di considerazione.
Aspetta lì, non scappare via subito, vediamo se ti riesce di raccogliere questi fili disordinati che sono i tuoi pensieri e costringerli in una trama che non risulti inutile. Perché un gomitolo di sicuro ti riuscirà di tirarlo fuori, il problema vero è vedere quanto ti possa risultare condivisibile con il resto dell'umanità. Te ne vergognerai e lo nasconderai in un recesso per indesiderabili del tuo disco rigido? Te ne vergognerai sempre, forse, quindi tanto vale vedere quanto. Abbastanza da non considerarne la diffusione? Poi ti viene da pensare alle immani cavolate che dici di solito in pubblico, o a quegli album tarocchi che posti su Facebook perché il tuo ego fondamentalmente te lo impone.
Ridono, ti dici. Bene.
Anche questo è un buon punto di partenza. La comicità non ti si è mai negata. Talvolta prendi seriamente in considerazione l'idea che una parte consistente del tuo cervello serva l'unica funzione di suscitare ilarità. E non per la sua forma a banana.
Visto?
È venuta da sola. Non l'ha accompagnata nessuna preparazione. Tu eri lì che scrivevi del tuo cervello e questo ha pensato bene di fare dell'autoironia.
Ma stai divagando.
La facilità con la quale dalle tua labbra scaturiscono battute, colmi, associazioni mentali fantasiose, freddure e commenti brucianti nella loro subitaneità, è una sensazione che ti è ormai familiare da molti anni. Non le barzellette però. Quelle no. Non le ricordi, non ti piace ascoltarle. Quando provi a recitarne una, ti viene in mente solo una storiella tristissima sugli indiani e un preservativo bucato, sentita alle elementari. E la reciti malissimo. Da cani.
Perché? Una risposta potrebbe essere che una mente che si è perfezionata nell'arte dell'improvvisazione neghi lo stesso impegno in quelle della più semplice memorizzazione ed esposizione. E qui, oltre ad affacciarsi un altro capo di un ulteriore filo, c'è l'ammissione che la memoria ti difetta. O la voglia di fare qualcosa di diverso da quello che già ti riesce bene. Che poi è una cosa che è diventata chiara come il sole durante i tuoi anni di scuola. Pigro, ma bravo. Bravo, ma accidenti se è pigro. Sei un bolide dalle ottime prestazioni, ma il carburante che ti fa andare a pieno regime è raro, costoso ma soprattutto estremamente volatile. La passione.
Non ne puoi fare il pieno, non ci sono indicatori sulla quantità residua, né ci sono formule matematiche che ti possano far programmare la lunghezza del percorso.
Basterà a finire questo testo? Stai usando la passione o appaghi una curiosità? Perché la seconda si consuma prima. C'è il rischio concreto di rimanere a piedi a metà strada. O peggio ancora a due passi dal traguardo. Che non hai idea di dove sia. Ciò dovrebbe rassicurarti. Qualsiasi punto sarà quello in cui ti impantanerai, sarà il finale.
Basterà camuffarlo.

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