mercoledì 28 settembre 2016

Non sequitur?


Fidati.

Oppalà!

La cosa ragguardevole della gag è che è composta da due screenshot presi l'uno dopo l'altro, così come appaiono nella cartella delle immagini.

mercoledì 21 settembre 2016

Mitridate VI Nabautore - Contrazione

della pes... no, questa gag l'abbiamo già usata.
Olophyxos I, il divino faraone che in questa ricostruzione storica ha l'onere di condurre i Tolomei, parrebbe alla luce delle recenti sconfitte verso un destino piuttosto gramo, ebbro del potere e delle conquiste ai danni di popolazioni ben più docili, muove una consistente parte delle sue armate verso la frontiera in quella che sarà la guerra che deciderà il destino di due imperi.

La Nuova Tiro, prima della fine.

Cartagine fu per molto tempo la dominatrice del mediterraneo occidentale, nata come colonia fenicia e che sopravvisse, indipendente e di gran lunga, al regno originario.
Si arricchiva soprattutto grazie al commercio, allo sfruttamento delle miniere in territorio iberico e alla fecondità del suolo africano.
Si contese a lungo e con alterne fortune la Trinacria, l'isola a tre punte (La Sicilia) inizialmente con la potente città greca di Siracusa e dovette rinunciare alla Sardegna dopo una vittoria di pirro contro i focesi.
Fu anche il nemico più potente della repubblica romana e nonostante perse tutte e tre le guerre puniche arrivò ad un passo dall'annientare Roma grazie ad Annibale ed alla sua leggendaria marcia attraverso le Alpi, partendo dalla Spagna che era stata massicciamente colonizzata dai cartaginesi.
Purtroppo alla fine l'impeto di Annibale si sgonfiò lungo il suo andirivieni per la penisola e quando fu infine definitivamente sconfitto emigrò nelle corti orientali come consigliere.
Quando Roma mosse infine sulla città piegò le ultime resistenze e la distrusse completamente nel 146 a.C. sebbene anni più tardi vi edificò sopra una nuova città che alcuni imperatori favorirono.
Divenne una provincia fondamentale per l'impero grazie alla sua produzione di grano e quando infine cadde in mano ai vandali di Genserico fu uno degli eventi destabilizzanti che posero fine all'impero romano d'Occidente.
Il regno vandalo stesso fu poi conquistato dagli arabi.

Gelone detta le condizioni ai vinti.

Come successo già con l'impero seleucidico rimaneva da vedere quale sarebbe stato l'evento che avrebbe segnato la svolta per l'inizio del declino dell'offensiva degli egizi, cosa che sembrava ancora di là da venire vista la mole di personale bellico messa in marcia dal faraone verso le mura della tartassata Tarso.
Le rivolte ad occidente, la nuova campagna di conquista ad oriente, l'espansione sul mare meritano tutte un approfondimento per arrivare a capire meglio i fatti che si sono succeduti ma prima il golorioso generale Rhesimedes deve far fronte a due armate che si sono fatte troppo audaci.
Arrischiandosi nel territorio della nemica Antiochia ingaggiava due interi eserciti per potersi garantire lo spazio e la tregua necessarie all'opera di consolidamento delle difese cittadine e per poter temporaneamente raffreddare il fronte meridionale per permettere al giovane impero di gestire le nuove crisi.

Lo stile Rhesimedes

Viene ingaggiato tutto l'ingaggiabile.

Truppe ridotte ad un solo elemento.

La vittoria è comunque nostra.

Questo è uno dei pochi scontri nei quali il nemico non si risparmia, contrariamente alle sue abitudini ma nonostante il gran numero di caduti, tre reggimenti letteralmente decimati rimangono saldamente sotto il controllo del generale, sintomo del suo carisma e della loro dedizione, e tale spirito d'abnegazione alla fine fa guadagnare una vittoria fondamentale che permetterà alla città di Tarso di tirare per un po' del ben meritato fiato e all'impero di potersi meglio interessare alla crisi interna ed all'opera di espansione sulle isole.
Abbiamo infatti lasciato un piccolo contingente di battaglieri galati sull'isola di Cipro a lanciare insulti molto coloriti ai difensori dietro le patetiche palizzate della città di Salamina (distrutta da un terremoto nel 340).
Da uno dei tanti alberi di cedro, ricco mercato d'esportazione che per secoli ha arricchito gli isolani a spese degli egiziani che ne prediligevano il legname, gli industriosi galli hanno ricavato un ariete d'assedio col quale sfondare il portone per poi attuare una tattica tutta loro.
Ben lungi dallo sciamare disordinatamente all'interno, solo un reparto di spadaccini entrava nel varco e si poneva dinnanzi al reggimento di falangiti ciprioti per potergli urlare contro i loro sberleffi e canti di guerra.
Gli interdetti difensori, forse stupefatti dall'inventiva degli appellativi coi quali si ricamavano ardite metafore sull'interazione dei tronchi di cedro e le loro madri, ignoravano che l'ariete veniva portato a sfondare un'altra sezione della palizzata per permettere ad un secondo gruppo di seminudi galati di prendere i picchieri alle spalle, tutto questo mentre gli altri isolani in armi lasciavano i compagni al loro triste destino per asserragliarsi nella piazza centrale dove avrebbero sperimentato l'urto di tutte le unità barbare assieme.

Lasciamo divertire i giovani.

La perplessità dei difensori.

Mezz'ora dopo, l'accerchiamento.

Grande pensata, voialtri.

Una volta presa la città è chiaro che la popolazione deve aspettarsi il trattamento consueto che il Ponto ha, con tanto successo, ereditato dalle sue radici orientali, con l'aggravante che i galati sono pure dei forti bevitori e la città, per alcune settimane, sembra una versione più estrema di Ibiza all'inizio dell'estate.
Motivo ulteriore dei ricchi festeggiamenti è che sono offerti dal primo territorio strappato di mano ai tolomei e che libera un altro contingente della flotta per mettere su un ulteriore embargo ai danni dei porti nemici.
L'espansione sul mare però è in corso anche ad occidente, laddove un irrefrenabile Ichthysades conduce tre reparti di veterani opliti, armati di scale e torre d'assedio, sulle mura imponenti ma ora molto più sguarnite, della città di Rodi.
Protetti dal mezzo d'assedio, gli opliti ad esso destinati riescono facilmente a superare le fortificazioni e per permettere ai loro più bersagliati fratelli in arme di poter giungere all'agorà senza subire altri attacchi dalle torri lungo il perimetro, si occupano di strappare ogni singola postazione ai nemici per lasciare un percorso sicuro.
A lavoro ultimato, per i pochi nemici il destino è presto servito.


Una torre in marcia si staglia all'orizzonte.

Un colosso inerme si staglia all'orizzonte, volgendo le spalle alla minaccia.

I nemici si stagliano a terra, sono quelli marroni.

Un povero tapino si staglia sotto uno zoccolo.

Dopo aver sottomesso i tanto odiati nemici ed aver oggettivamente abusato del verbo stagliare, l'eroe di Nicomedia volgeva uno sguardo impietosito agli sconfitti e, pago delle immense ricchezze ottenute e dall'impulso ai commerci verso occidente che la proprietà dell'isola garantirà da ora in poi all'impero, si limitava a venderne i più facinorosi come schiavi per arrotondare maggiormente il bottino.
La natura guerriera di Ichthysades mal si sposa con l'attività di governo, forse anche a causa del suo essere un illetterato, chi può dirlo, così già volge lo sguardo ancora più a ponente, verso un'altra importante isola verso cui indirizza la flotta che l'ha condotto fin qui, per poter chiarire se è un dominio degli amici ed inattaccabili macedoni o se ospita un'altra congrega di nemici.
A questo punto va anche segnalato che l'opera dei sicari, ben lungi dall'essere terminata, portava la quota di rampolli, più o meno giovani ed appestati, a tredici.
Un imberbe sedicenne, sebbene dal destino già segnato dal morbo, veniva spacciato durante la ricreazione da un bidello compiacente, un parente scopriva quanto potesse essere problematico un dattero se non adeguatamente masticato ed un ulteriore nobile d'alto rango veniva attirato in un circo per tastare con mano come vi si alimentano le belve all'interno.
Olophyxos I, con l'albero genealogico che sperimentava l'equivalente di una energica potatura, vistosi ridotti i familiari ai quali donare armate per sogni di gloria infranti nella solitudine di vicoli oscuri, alzava la posta e inviava quattro pingui eserciti in Cilicia la cui composizione tradiva però le origini di rimpasto di sopravvissuti a precedenti sfortunate campagne.

La cattiva notizia è che sono tanti, la buona notizia è che ci sono molti meno illustri generali rispetto a poco fa.

Il vantaggio concessomi dalla capitolazione delle isole di Cipro e Rodi consiste anche nell'avere ora alcune navi da destinare ai porti dell'Egitto, nella fattispecie a quelli della mitica Alessandria e di Pelusio, nota per essere la porta d'accesso alla suddetta nazione.
Prima però di portare scompiglio ulteriore ai commerci del faraone un piano ancora più bieco prende forma nella mia mente ammorbata da sogni di megolomania di rimbalzo, quella cioè che scatta quando un impero avversario ti fa un torto. Tranquilli, alle persone normali e decenti non accade.
Passando per Side, le truppe galate responsabili della presa di Salamina, avendo sostenuto perdite infinitesimali, si aggregano a due gruppi di pirati cilici reclutati per l'occasione, quella cioè di tentare un colpo gobbo ai tolomei e sottrargli l'importantissima Alessandria mentre hanno il grosso delle forze altrimenti impegnato, vale a dire molto lontano da lì e con i mari in mano al nemico.
Rincuorato dal piano machiavellico posso ora affrontare con spirito sereno l'invasore.

Queste idee mi vengono così, perché sono cattivo.

Costretto a dividere le mie forze per arginare la minaccia, dedico le unità fresche giunte dalla capitale, designate inizialmente come rinforzo, ad affrontare il gruppo di avversari che porta con sè delle macchine d'assedio.
Per la prima volta mi trovo nella posizione svilente di essere dalla parte sbagliata di un onagro e i soldati nemici ben si industriano per tenere il più a lungo possibile i miei guerrieri lontani dalle loro catapulte che nel frattempo non si fanno pregare, arrivando a lanciare macigni anche quando le linee si fondono in una rissa confusa tra i due schieramenti.
Alla fine, nonostante le gravi perdite, un reparto di cardaci si libera una via verso gli onagri e provvede a metterli in silenzio.


Mobilità e velocità sono le priorità.

Il numero pari di forze non permette una rapida soluzione.

Finalmente gli onagri vengono neutralizzati.

Il risultato dello scontro ad occhio.

Il risultato dello scontro su carta.

Tocca pertanto a Rhesimedes, ormai un uomo di una certa età con la sua barba sale e pepe ma non meno belligerante, farsi carico dello smantellamento del gruppo più numeroso e disperdere i nemici prima che giungano alle porte di Tarso.
Dopo averli fatti arretrare fin oltre il confine li forza allo scontro con tutte le forze che si è portato dietro dalla città, in una scommessa che se persa sancirebbe la perdita certa del fronte.
Nella configurazione ormai nota come la scacchiera di Rhesimedes, il generale schiacciava un nemico impreparato alla sua determinazione.

Cedevoli questi egiziani, soprattutto d'inverno.

Ora alcuni piccoli appunti.
Ad Amasia inizia finalmente l'addestramento delle prime truppe d'elite dell'impero che non potevano giungere in un momento più adeguato.



Se la spina dorsale dell'esercito rimangono i cardaci, i semplici falangiti, da parte loro, hanno cominciato a mostrare la corda già da un po', pertanto verranno lentamente rimpiazzati, laddove possibile, con i poderosi scudi di bronzo.

Gli spadaccini cardaci invece troveranno posto tra le formazioni appena dietro i loro fratelli armati di lance, pronti ad intervenire e ad applicare tutta la loro forza dove più sarà necessario.
L'attività seleucidica ad oriente rallenta e le eterogenee forze messe alla difesa di quei confini, sotto la guida del giovanissimo Rhadesades, cominciano ad organizzarsi per un'incursione oltre il fiume, confine naturale con l'impero avversario, attendendo solo l'arrivo di qualche unità più fresca e coriacea.
Le navi mandate sulle coste dell'isola di Creta rientrano a Rodi per comunicare che a difesa di quelle terre vi sono un manipolo di ribelli facilmente eliminabili.  
La politica di stabilizzazione dei territori occidentali porta sì un fiorire del commercio, un graduale abbassamento delle tasse ed una vasta opera di ampliamento e rinnovazione di strutture pubbliche e civili ma anche i semi di un malcontento generale che colpirà di lì a poco tutto il mondo ellenico conquistato in Asia dall'impero, figlio anche della spinta alla coesistenza tra le popolazioni di origine asiatica, quelle dominanti, e quelle sottomesse, di origine occidentale. I primi segnali preoccupanti cominciano già a giungere dalla città di Cizico.

Ops!
 
Un piccolo incendio alla prestigiosa libreria della città di Alessandria che solo delle malelingue possono ricondurre alla malvagità dei signori del Ponto, nega ai cittadini il piacere della lettura ed il lustro che una tale istituzione comportava e ai loro discendenti cristiani che ne popoleranno agitati le strade, secoli più tardi, la possibilità di farlo per conto loro.
Quantomeno il faraone Olophyxos I non potrà dolersene a lungo visto che sarà l'illustre numero quindici delle vittime attribuite all'opera dei miei spietati sicari.
In vacanza sulle rive del Nilo veniva trascinato in acqua da un coccodrillo che molti testimoni hanno visto ergersi su due gambe.

Trattasi chiaramente della manifestazione del dio Sobek.

l tristi numeri quattordici e sedici rispettivamente sperimentavano le sfortunate conseguenze di un debito non pagato alle persone sbagliate e l'indole bizzarra di un cammello sotto stupefacenti.
L'ultima ondata di terrore non sembra però scoraggiare il nemico che ostinato come solo una IA che non conosce vergogna o forse un popolo al quale ho inflitto qualche umiliazione di troppo, conduce sulla via del sacrificio altri due contingenti di uomini dalle belle speranze.
La pessima scelta della stagione nella quale incamminarsi in gonnellini e tuniche di lino verso le montagne che sono la culla della mia fazione ed il fatto che ad attenderli alla frontiera ci fosse l'imbattuto Rhesimedes con le sue legioni condanna migliaia di donne alla vedovanza.


Prima fate una fila, poi mentre girate di 90°

gli onagri danno una bella svegliata ai furboni.

Un dettaglio dell'entusiasmo delle truppe.

Il tempo passato nel dispiegare la formazione al di fuori delle mura è ben ripagato dalla velocità con la quale il nemico si dà alla fuga dopo il primo contatto, lasciando truppe quasi interamente fresche per affrontare il secondo esercito che seguiva quello che a questo punto si devono esser visti sfilare davanti di gran carriera.
I fuggiaschi, probabilmente rimbrottati dai nuovi arrivati, tornano sui propri passi per fornire loro appoggio, facendosi trovare dispiegati su due linee di più di mille uomini l'una.
Purtroppo il ricongiungimento non sembra essere avvenuto con la dovuta premura e lo spazio lasciato tra le due formazioni permette all'irruenza di Rhesimedes di decimare la prima fila per poter punire definitivamente la seconda, con più calma.


Quello spazio risulterà fatale.

I re magi e la stella cometa.

Dovevate continuare a correre, mi spiace.

Contemporaneamente, al largo di Antiochia, la flotta pontica che operava l'embargo sul porto intercettava alcune navi che trasportavano degli uomini armati probabilmente diretti a Cipro e sanciva quella che sembra essere la definitiva estinzione dell'ammiragliato tolemaico.

Il dominio dei mari orientali è completo.

Frattanto, le navi cariche di pirati e galati giungevano ai porti di destinazione, chiudendo il commercio ad Alessandria e a Pelusio e mettendo in serio pericolo la prima.
Lo sbarco dei pirati però veniva ritardato dal rapporto di una spia del luogo che riportava che i cittadini di Alessandria si sarebbero probabilmente armati in massa davanti alla minaccia straniera, innescando un episodio simile a quello rodiano.
Volendo evitare la comparsa di un nuovo esercito nemico, ben più agguerrito del solito, spostavo un piccolo contingente di cilici verso ponente, in direzione della cittadina, alquanto misera, di Paraitònion, sul confine occidentale dell'impero tolemaico, tenuta unicamente dalle truppe di scorta ad un grosso funzionario egiziano, la cui presenza in quel punto dimenticato dagli dei poteva solo spiegarsi con l'inimicizia dell'erede al trono o della necessità di rivalutare l'area.
Qualunque fossero  i motivi della sua presenza, certo è che la sua fine avviene per mano di un cittadino, alquanto grosso ed in forma, dall'accento curiosamente straniero, che lamentava tasse troppo alte e condizioni di vita precarie e dalla tale veemenza da spaccare il suo 740, inciso su di una tavoletta di bronzo, sulla capa del governatore.
Con le guardie del corpo disperse dai pirati, la cittadina di Paraitònion (oggi Marsa Matruh) finiva nelle mani del Ponto, secondo territorio preso ai tolomei e prima colonia in terra davvero straniera.
Con il governatore salutano anche due piccoli generali in erba che sperimentavano la rigidità dell'inverno in Cilicia, nella fattispecie l'inaffidabilità delle superfici ghiacciate se ebbri di vino e del caldo impietoso del Libano, dopo un colpo di sole fatale causato da un elmetto di bronzo lucidato a specchio.



I piani sulla riconversione di Paraitònion in colonia pontica in spregio ai vicini sembra a portata di mano, un altro tassello nell'opera di dileggio spudorato del nemico, sebbene quanto la città offra in materia di capacità produttiva sia insufficiente e permanga il problema di approvvigionamento di truppe fresche.

L'idea però di portare qui i restanti pirati con le truppe galate si arena quando un certo numero di greci, dalla vicina città nemica di Cirene, in Libia, si incammina con fare ostile verso quello che considera, a ragione, un facile guadagno. Vendetta per le mie campagne e conquista ai danni dei tolomei senza inimicarseli.

Stimando il condottiero greco per l'inappuntabilità del suo ragionamento, tento una negoziazione con gli egiziani per riscattare la cittadina con denaro sonante. Vedendomi rifiutare lo scambio, abbandono la città ai greci non prima però di averne incendiato ogni infrastruttura utile.
Lontano da qui, su Creta, il gruppo di opliti incaricati della conquista dell'isola, dopo avere disperso un gruppo di militi che aveva tentato di bloccarli al porto, superava agilmente le barricate cittadine e prendeva la città di Cidonia (oggi La Canea) lasciando i pirati di quest'area del Mediterraneo senza uno dei loro maggiori porti e donando al Ponto il suo dominio più occidentale.
Da tutt'altra parte, nei confini orientali, Rhadesades rompeva gli indugi e con forze appena sufficienti sfidava i difensori di Amida (oggi Diyarbakır) nella speranza di prenderne le mura prima che le truppe seleucidi della vicina Hatra potessero intervenire a sovvertire l'equilibrio di forze.
Incontrando in campo aperto il contingente nemico e tranquillizzato dall'arrivo di alcuni reparti di supporto, sebbene troppo lontani per fornire aiuto in questo scontro e dalla presenza di un gruppo di scudi di bronzo, il diciannovenne generale saggiava le sue abilità di comando lanciandosi in più cariche che nonostante lo mettessero sempre più a rischio, permettevano ai suoi uomini di prendere l'abbrivio.


Il cuore della formazione, gli scudi di bronzo, regge alla prova.

Dopo averne disperso le forze è questione di pochi mesi ed anche la città di Amida cade. L'impero seleucide perde un'altra piazzaforte e un crocevia verso altri due suoi possedimenti.
L'ostilità degli autoctoni spinge il conquistatore a sottometterne la volontà con atti di giustizia sommaria e, prima ancora di riparare le mura danneggiate, ordina la costruzione di una piazza per le esecuzioni pubbliche.
È questo l'inizio di una nuova politica di controllo che si spargerà nell'occidente della penisola anatolica a seguito delle ormai incontenibili rivolte della popolazione sottomessa.
Nonostante il benessere apportato dal nuovo governo e la pace instaurata con l'unificazione, una parte consistente dei cittadini  di impronta ellenica rifiuta con fermezza il nuovo ordine sociale ed esacerbati dalla costituzione nelle loro città di enclavi orientali per una omolagazione della popolazione e della cultura esplodevano infine in rivolta armata.
In pratica i cittadini di Sardi ed Alicarnasso insorgevano per questioni meramente razziali, non già per tasse insostenibili o condizioni di vita umilianti che mai gli ho inflitto, solo per il colore che le bandiere devono avere sulle loro mura.
La situazione era instabile già da alcuni anni e tenuta sotto attento controllo da diverse unità militari che venivano dislocate alla bisogna per scoraggiare eventuali facinorosi, ma alla fine la popolazione greca di Sardi uccideva più di mille concittadini orientali e tornava sotto l'egida seleucide mentre ad Alicarnasso, oltre alle violenze sui cittadini non greci, lo stesso governatore veniva cacciato dalla città con tutte le sue truppe ed attaccato dagli stessi insorti che lo avevano incalzato fin nei boschi della regione.

Un'orda di leghisti, belli belli in verde.

La difesa approntata all'ombra dei pini.

Lo scontro tra orientali male in arnese e greci armati pesantemente.

La battaglia nei boschi sembra disperata, vista la disparità delle forze in campo ma il governatore di Alicarnasso non è uno stupido e fa nascondere tra gli arbusti tutte le truppe leggere lasciando solo la sua unità e quella degli opliti giunti da Nicomedia come la retroguardia che si è fatta raggiungere.
Quando i numerosi greci, tra cui reparti di falangiti corazzati, si avvicinano alla linea degli alberi, da questi sbucano tutti gli sparabara disponibili accerchiando la prima ondata di fanti per poi soverchiare in numero e disperazione quanti rimasti indietro.
L'esito della battaglia è francamente stupefacente, considerando che il grosso delle forze è composto dalle unità meno affidabili del Ponto e i rivoltosi vengono spazzati via senza causare troppe perdite.
I vigliacchi sopravvissuti si ricongiungono ai loro degni compari all'interno della città dei cui concittadini hanno imbrattato di sangue le strade me le imponenti mura non li salveranno.
L'imperatore vuol fare di loro un esempio a futura memoria per altri eventuali fratricidi.
Con quanto rimastogli dall'ultima battaglia ed assoldando un secondo gruppo di opliti mercenari, il governatore Megabyzus riceve l'ordine di riprendere Alicarnasso seduta stante.


L'irruzione a dispetto dei dardi.

Le porte vengono prese.

Le mura vengono ripulite.

Quieto testimone della mattanza.

Gli ultimi difensori vengono attirati

in una trappola crudele.

Le porte della città vengono trovate aperte dai vendicatori, bloccate da un opportuno sabotaggio e comincia la laboriosa opera di retribuzione, zona per zona, fortificazione per fortificazione, quartiere per quartiere. Opliti e sparabara, dopo aver sopportato i dardi scagliati dai vigliacchi sulle mura, raggiungono questi ultimi e ne fanno piovere i cadaveri al suolo dove i loro compagni eliminano le forze di difesa.
Quando giunge l'ora di raggiungere il centro le truppe sono affaticate ed indebolite ed un attacco frontale alle due falangi corazzate potrebbe essere fatale, nonostante la superiorità numerica.
Il governatore conduce quindi i suoi cavalieri a disturbare una delle due falangi e questa, messasi alle sue calcagna, finisce dritta nella morsa della trappola tesagli dietro l'angolo, davanti alle scalinate dello splendido tempio cittadino dedicato alla dea Irene (divinità, ironicamente, della pace).
Lasciata a sè stessa, l'ultima compagine di ostili viene massacrata fino all'ultimo uomo.
Dal canto suo, è sulle spalle di Ichthysades, eroe di Nicomedia e conquistatore di Rodi, occuparsi della ribelle Sardi e decide di farlo senza sotterfugi.

Tre punti di accesso.

L'importanza di un suolo stabile.

La presa delle mura.

Si converge al centro, ripulendo le strade.

Nell'agorà si lascia spazio ai cavalieri.

Scale, torre d'assedio e un tunnel per lesionare le mura sono il suo biglietto da visita e nonostante i suoi uomini subiscano una pioggia di rocce, dardi e finanche olio bollente, riescono a fare breccia in tre punti diversi disperdendo le forze a difesa che si stiracchiano per arrivare dappertutto, finendo facilmente preda dei galati che sono pronti a sbucare dalle retrovie lasciate scoperte per inseguire quello sparuto gruppetto di fantaccini.
I gruppi di nemici troppo lenti per riconsolidarsi al centro vengono spazzati via e i pochi superstiti rimangono nell'agorà facile preda dei reparti di cavalleria, finalmente liberi di sfogarsi.
La punizione per i rivoltosi è anche qui spietata e a Sardi, Alicarnasso, Efeso, Pergamo, Cizico, Rodi e Salamina vengono sospesi tutti i lavori di ampliamento delle infrastrutture per dare la priorità, prima ancora che alle riparazioni, a campi per le esecuzioni e sedi per la polizia segreta.
Decisione dell'imperatore suggellata dalla considerazione che se preferiscono non amarci, almeno che ci temano. Tutte violenze che si sarebbero risparmiati se si fossero goduti i reali benefici dell'amministrazione pontica.
Dopo la futilità del tradimento rincuoriamoci con dei grafici.
Rispetto ai nostri vicini abbiamo


guadagnato territori a spese loro;

guadagnato esorbitanti ricchezze;

azzerato il gap militare;

mandato alle stelle il nostro PIL.

Se dopo questi grafici avete la netta sensazione che gli eredi di Seleuco e Tolomeo siano dei poveri sciocchi sappiate che non è un'impressione, dopotutto le linee gialle e grigie sono lì a dimostrarlo e la loro parabola discendente è tanto merito mio quanto demerito loro, che qui non hanno a che fare con i prussiani dal cuore tenero di un'altra linea temporale.
Approfittando del successo degli assedi di Amida, Alicarnasso e Sardi, Rhesimedes il conquistatore fa una sortita in terra d'Antiochia e forte dei suoi quattro onagri distrugge le mura della città e vi si insedia con intenti permanenti.
Un centro economico di spicco del nemico, sebbene fortemente indebolito da anni di embargo, può tornare a prosperare sotto le insegne del Ponto, con il più importante porto del Mediterraneo orientale nuovamente aperto al commercio.
Per aggravare ulteriormente la situazione dell'economia egizia, vengono chiusi gli ultimi due porti disponibili, negandogli ogni accesso al mare.

Tolomei interdetti in territori persi in un istante.

 
Tolomei invitati gentilmente a togliersi dai piedi dai suddetti territori.


Questa insperata conquista, a coronamento dei successi nella restaurazione dell'ordine in seno all'Impero è però solo un alito di speranza in una situazione prossima alla catatrofe.
La peste è scoppiata a levante, colpendo prima Trebisonda e poi estendendosi fino alla fresca di conquista Amida.
Il giovane conquistatore Rhadesades si ammala, così come l'anziano governatore di Trebisonda, dove il morbo sembra fare più vittime.
A rendere più instabile questo teatro è l'intoppo che l'epidemia impone all'arrivo di truppe fresche per rafforzare le posizioni, che siano uomini validi che non voglio dare in pasto al male o l'inaccessibilità delle due città colpite per i contingenti di uomini della campagna di conquista che lì dovevano reintegrare le perdite.
A ciò si aggiunge un piccolo esercito, più fastidioso che altro, di seleucidi che marcia verso Mazaka, città che stranamente li attira come falene, un'impennata di attività di sicari stranieri, tutti neutralizzati dai miei, spionaggio ai miei danni da parte degli armeni, ancora neutrali ma alleati dei tolomei e con alcune truppe che si spostano nervosamente sui loro confini e il malcontento che torna a fiorire a Cipro, Efeso, Cizico e Nicomedia, rivolte aperte a Pergamo e Rodi e l'insorgenza di ribelli, molto male in arnese, che temporaneamente si riprendono Cidonia.
Degna di menzione la comparsa, fuori da Efeso, di un contingente di greci capeggiati da un rappresentante della fazione più estrema che non grazierò con un'esecuzione ma prevedo anzi di schiacciare in battaglia, sempre ammesso che tutta l'area non vada a carte quarantotto.

Vi dirò, un po' mi preoccupa.

Chiudiamo, a risollevar lo spirito, con l'annuncio che il glorioso generale Rhesimedes è il nuovo erede al trono designato e con il sempre apprezzabile toto Tolomei eliminati.
Mr. Venti lascia questa valle di lacrime per un infarto dovuto ad una crisi di nervi coltivata con perizia, per giorni, da un sicario burlone che non faceva altro che cambiargli di nascosto i calzari con un paio un po' più piccolo, lasciargli il rubinetto gocciolante di notte, facendogli sempre trovare un bagno usato ma senza l'acqua tirata e altre amabili cose di questo genere.
Il signor Ventuno scopriva le capacità incendiarie del bitume, in salotto, mentre dieci barili venivano svuotati attraverso le sue finestre.
L'egregio Ventidue finiva vittima in una rissa tra tifosi ubriachi nel dopopartita Menfi - Galatasaray.