sabato 16 luglio 2016

Are you going to

play Pokémon Go?


Fatemici pensare un attimo, va.

* Mette mano al suo smartphone.
* Controlla sul Play Store se c'è l'app.
* Non la trova tra i nuovi arrivi.
* Immette le parole "pokemon" e "go" nello spazio adibito alla ricerca e saltano fuori millemila applicazioni, di cui una buona metà sono guide a pagamento al gioco che non trova.
* Fa una ricerca col browser e trova il link.
* L'applicazione non è compatibile con il suo telefono.

Fa niente, tanto non potevo giocarci comunque che ci vuole la connessione a pagamento e io faccio una ricarica di dieci euro ad ogni giubileo e tanto non posso manco andare in giro che il gomito mi fa contatto col piede, e comunque l'uva mi fa aria alla pancia.

*Rimane imbronciato in un angolo come un bimbo di cinque anni.

Per quanto catturare queste bizzarre anomalie biologiche sia lontano anni luce dalle mie pratiche ludiche abituali non potevo rimanere inerte davanti all'incredibile successo di un fenomeno sociale così evidente.
Nel giro di una notte il mondo intero è sceso in strada a socializzare, gambe in spalla, con uno schermo in mano, simbolo primo ed essenzialmente unico per gli irriducibili rompiballe che non sanno di cosa parlano dell'inaridimento delle interazioni umane.
Uomini, donne e bambini in giro a cercare affarini colorati scambiandosi consigli e aiuto indipendentemente da casta, religione, affiliazione politica e ruolo nella società.
Come suggerito da un utente twitter dallo spiccato spirito d'osservazione, la Nintendo è passata dal non sapere cosa fosse un iPhone a fare un culo così al porno in una manciata di anni.

Non è tutto però rosa e fiori e poliziotti che ti aiutano col Bulbasaur, visto che il nostro mondo è sempre lo stesso e ad ogni gaudio giovine con l'occhio attento alla comparsa di un cosetto buffo la ditta che ci ha regalato il divertimento mette mano alle pudenda della privacy e già che c'è prende lui e milioni di questi sognatori e gli draga più o meno volontariamente l'account google.

Sempre di andare a spasso si tratta.

Non me ne vogliate quindi se intendo sopperire alla mancanza di volontà di adempiere all'obolo richiestomi dal gestore telefonico mobile e contemporaneamente aderire quanto più possibile alla mia pigra natura e contestualmente anche alla poltrona flettendo l'impegno di scorrazzare all'aperto con quello di sgambettare al chiuso di palazzine virtuali ma grandiosamente colorate o attraverso tetti dal candore accecante cinti da palazzi con vetrate vastamente più lesive per la messa a fuoco, il tutto sotto un cielo dalla purezza incantevole.

Mirror's Edge mi offre tutto questo e non posso chiedergli di meglio.

Se mi soffermo ad ammirare un dettaglio od il panorama tutto è solo ad esclusivo beneficio del piacere che tale gesto comporta e il dover altresì anteporre l'incolumità del mio avatar in altri momenti nei quali non c'è tempo o spazio per gigioneggiare accresce l'impatto degli istanti di pace.

Aiuta moltissimo il fascino assolutamente intatto che gli ambienti hanno conservato negli anni. Forse abituato all'estetica delle aree urbane italiche, un misto di storia e decadenza, quest'ultima tutta riferita all'edilizia moderna e condannata alla fatiscenza da risparmi o semplici mancanze, la resa della città del gioco, con la sua innegabile modernità, ordine e l'uso accorto di colorazioni in forte contrasto con la predominanza del bianco ottiene il semplice risultato di lasciarmi con gli occhi bene aperti e la bocca sempre incurvata all'insù.

Dove ti giri, giri, c'è un bel colore.

Mettiamoci pure che correre tentando di mantenere una resa fluida delle azioni, cercando senza sostare appigli, scorciatoie, la via maestra o di fuga è esilarante ed appagante ora come allora, grazie alla resa fisica del corpo virtuale, di cui possiamo ammirare non solo mani e piedi, ma le gambe, parte del busto e dellle braccia fino alle spalle.
La storia è quella che è ma ha l'indubbio onore di porci in situazioni interessanti da giocare e nelle quali mettere alla prova le abilità affinate nelle prove a tempo.
L'enfasi sulla fuga e l'evasione poi è una variante che apprezzo molto alla dieta classica e aggressiva dei videogiochi che generalmente privilegiano il confronto.
Anche qui è un'opzione ma risulta presto la meno attraente ed appagante.

Giocandolo e rigiocandolo mi pare sempre più evidente che l'intento fosse, dalla composizione grafica a quella tecnica, di lasciare senza fiato, figurativamente quanto vuoi, ma poeticamente attinente alla messa in scena.

Nell'attesa di un futuro prossimo nel quale sperimentare il tanto sudato seguito, e qui chiudiamo le metafore correreccie, uno dei pochissimi eredi non solo spirituali di questo mai troppo seminale gioco, posso tranquillamente e felicemente dimenticarmi di Pokémon Go.
Realisticamente solo fino al prossimo twit...



È e rimane un gran bel trailer.




 

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