martedì 20 ottobre 2015

Ho perso le chiavi sulle montagne della follia


The madness of losing the keys in the mountains (of madness)


Ebbri di amaro Montenegro, io ed il mio fido compagno di avventure, Lucas, stavamo attraversando in volo la catena montuosa che si estendeva interminabile a nord del nostro campo base, con il chiaro intento di accertare la presenza di opere architettoniche riconducibili alla presenza passata di popoli alieni sul nostro pianeta.
Questa ridicola teoria del professor Arthur C. Wonderpoppen era riuscita a trarre sufficiente abbrivio tra i più suscettibili ed improbabili dei finanziatori, il cui raziocinio è stato probabilmente severamente compromesso da anni di esposizione a documentari dalla discutibile capacità divulgativa.
Fatto sta che una campagna di raccolta fondi in rete dopo io, Lucas ed altri ricercatori in disperato bisogno di lavoro ci siamo ritrovati con l'esimio professore a gelarci il fondoschiena battendo palmo a palmo un'infinità di ghiaccio.
Questi voli di ricognizione rappresentavano quantomeno un piacevole diversivo e non mi vergogno ad ammettere che ben poca della nostra attenzione era rivolta all'individuazione di cose che nessun uomo sano di mente sarebbe capace di ammettere ad alta voce senza arrossire.
Nessun uomo a parte Wonderpoppen, s'intende.
Mentre seguivo sornionamente l'ombra del nostro piccolo aereo tra le cime accecanti dei monti sotto di noi, destato di quando in quando dal colpo di gomito alle costole che mi infliggeva Lucas ogni qualvolta giravo lo sguardo al suo - ehi, ma quello non è forse un campanile? Ah ah ah - per poco non mi prese un colpo quando vidi la sagoma di un enorme pinguino sparire d'improvviso nel nulla.
Il colpo lo prese tuttavia Lucas, in quanto mi gettai letteralmente su di lui nel disperato tentativo di osservare meglio quell'improvviso, misterioso e piuttosto lontano fenomeno.
- Ma che cazzo combini, ci vuoi fare ammazzare? - il tono di Lucas non era più scherzoso - sono io che posso colpirti, perché tu non hai in mano la cloche del dannato aeroplano.
- Ma non hai visto? - mi difesi - c'era una sagoma scura, simile ad un pinguino, che trotterellava su quel piano e che d'un tratto è scomparsa! -
Lucas non poteva fare a meno di guardarmi come si fa con un povero imbecille.
- Per distinguere un pinguino da quassù avrebbe dovuto essere un bel signor pinguino - aggiunse con un sorriso a mezza bocca - ma dato che ti annoi abbastanza da dire scemenze ed io ho comunque bisogno di orinare, possiamo atterrare lì e vedere di farti fare la figura dello scemo. -
Non aveva ancora finito che già virava verso un tratto sufficientemente piano per consentire un atterraggio privo di incidenti.
Purtroppo per noi era l'unica cosa, da lì in poi, che si sarebbe rivelata priva di problemi.
Messi i piedi a terra, e già in cerca, col binocolo, dei segni che quanto avevo visto non fosse frutto dell'alcol, ero davvero disinteressato ai movimenti che Lucas faceva alle mie spalle, probabilmente celato dal nostro velivolo, intento a non congelarsi l'attrezzatura nell'atto di scaricarla.
Il non aver ricevuto, dopo alcuni minuti, nessun commento sarcastico sull'esito delle ricerche era insolito, così girai attorno all'aereo in cerca del mio pilota, e per quanto mi sforzai, non riuscì a trovarlo.
C'erano però delle orme che dal mezzo si inoltravano più avanti, e proprio lì una botola si apriva tra il ghiaccio e la neve, con una scala a pioli che permetteva di accedere all'antro sottostante.

L'ascia fa parte della dotazione standard della
guardia forestale dell'Antartide.

E proprio in questa caverna congelata zampettava un inquietante pinguino imperiale che al mio ingresso sbucò a fissarmi con evidente astio da dietro un angolo.
Rimanemmo ad osservarci per qualche secondo, immobili e, dal canto mio, indecisi sul da farsi.

Mimetizzarsi era fuori discussione.

Si ruppero gli indugi quando, all'avvicinarsi di un suo compagno, si fece baldanzoso avanti, con quel suo incedere traballante ed osceno, carico di grasso e sdegno, nel suo smoking lucente, per il mio abbigliamento funzionale.
Avreste dovuto vedere il giudizio severo in quegli occhietti piccoli, peggiore del peggiore degli stilisti dediti unicamente a cagare il cazzo sul modo di vestire altrui, unici depositari di un sapere mutevole, incerto e francamente totalmente sopravvalutato.
Non potevo permetterlo.
Mi vergognavo come un cane nella mia divisa cachi con le pratiche tasche laterali e gli scarponi grigi coi chiodi.
Arrossivo non visto nella mia maschera con visore a specchio e cappuccio in piuma d'oca con sbuffi di pellicciotto sul contorno.
Quanto sgraziato potevo essere col mio zaino Survival Master IV con il logo di Naruto?
Accecato dal disagio, mi lanciai urlando su di loro, brandendo un'ascia che sicuramente avrebbero ritenuto un accessorio discordante ed eccessivo, se il loro cervello non si fosse rovesciato sul pavimento.
Assicuratomi la sopravvivenza del mio fragile ego proseguii nell'esplorazione della caverna, attento ad evitare altri incontri e tenendo d'occhio le incombenti ed appuntite stalattiti disseminate sulla volta ghiacciata.
Trovai altre botole, e scesi ancora e ancora, fino alle rovine.

Coltello da caccia Taskmaster III,
con bussola, acciarino, filo e lenza da perdere in acqua.

Blocchi squadrati di pietra cremisi, con archi, bassorilievi, porte e trappole ancora attive.
Che il professore Wonderpoppen avesse avuto ragione?
Potevano degli uomini aver vissuto qui, prima che tonnellate di ghiaccio spingessero sempre più in basso questi luoghi, un tempo ormai lontano?
Probabilmente fu a questo punto che smisi attivamente di cercare Lucas e cominciai a guardarmi in giro come un vero e proprio esploratore.
Purtroppo non trovai ori, suppellettili o quant'altro da prelevare per poterli portare alla luce, nella segreta speranza di soppiantare il nome di Wonderpoppen con il mio, colui cioè che qualcosa aveva effettivamente trovato.
Ma quali alieni, porca di quella miseria?
Più mi inoltravo in profondità, più era ovvio che era tutto a dimensione umana.
Le botole, tanto per dirne una.
E le trappole? Chiaramente studiate per ferire piedi. Piedi umani.
I miei, per l'esattezza.

Revolver multitasking svizzero,
sei funzioni, tutte uguali.

Imparato a puntare il naso anche verso il basso, mentre nella discesa gli ambienti di pietra rossa lavorata facevano spazio a costruzioni giallo senape più antiche, abbandonai del tutto le considerazione umanistiche della faccenda.
Se quell'affare chitinoso lì davanti non era forse un alieno, di certo non era un essere umano.


E nemmeno i suoi compari.

La mia esplorazione, iniziata come una ricerca, si trasformava ora in una corsa disperata nella direzione diametralmente opposta a quella dei gamberoni che mi minacciavano ostentatamente.
Ma non potevo ancora risalire.
Sapevo dentro di me che se avessi perseverato, avrei trovato ciò che cercavo sul fondo di questo luogo terribile.
Non potevo più indugiare.
Mi feci meno attento, ma mi spostavo più rapidamente, correndo lontano da creature troppo numerose da affrontare od aggirare, sfruttando ogni dislivello che le tratteneva, cercando freneticamente la prossima botola.
Così, più che giungendo, capitombolando sui gradini dell'ennesima scala, seppi di essere arrivato all'ultimo piano. Quello decisivo.

Piuttosto evidente, no?

Dalla mia posizione sopraelevata era piuttosto evidente che al centro, diversi metri più in basso, si ergesse un altare cerimoniale di qualche tipo.
Un fumo denso aleggiava sopra qualcosa adagiato su di esso che mi impediva di discernere cosa fosse, ma che io sia dannato se ero arrivato fin lì senza scendere a dare un'occhiata.
La ricerca di un passaggio si rivelò più laboriosa del previsto, portandomi a chiedermi quale fosse lo scopo di avere un percorso tortuoso e sconveniente per raggiungere un luogo di culto.
Ma ci arrivai, ai piedi di quel luogo, e vidi con i miei occhi cosa c'era da vedere.

Sembra alquanto disidratato.

Il corpo rinsecchito di Lucas giaceva sulla cruda pietra, attorniato da candele votive, con la nube fumosa proprio sopra di noi.
Non vi prestai troppa attenzione, in quanto finalmente avevo a portata di mano ciò che necessitavo.
Abbandonata ogni possibilità di salvezza per il mio pilota, era finalmente ora di recuperare le chiavi dello stramaledetto aereo col quale schizzare a mille milioni di chilometri da questa follia.
Non mi giudicate male, anche voi avreste intrapreso questa odissea esclusivamente per le chiavi, ammettetelo, un tipo come Lucas, le cui gomitate alle costole e gli scherzi ripetuti alla nausea sono tollerabili solo con una bottiglia d'amaro a portata di mano, e se non fosse sufficiente, con una bottiglia vuota d'amaro da brandire come arma.
Forse in virtù di questi così miseramente caritatevoli pensieri, la nube di fumo cominciò a vorticare minacciosamente, e fin troppo velocemente, ad avanzare ronzante verso il mio capo.

Una nube assassina, un ranocchio ed un piccone
si incontrano in una rovina maledetta.

Gambe in spalla ripercorsi alla meno peggio i miei passi, trovando la risposta alla tortuosità del percorso di prima. Non deve essere difficile arrivare, quanto piuttosto andarsene.
Quanta fatica scalare, correre, schivare e saltare per tenere lontana una massa gassosa che filtrava tra le crepe, si librava in volo e si faceva generalmente beffe dei miei goffi tentativi di elusione.
La domanda era, sarei riuscito a tornare all'esterno tutto intero?
Forse l'adrenalina, di sicuro la paura, tennero la mia mente ai massimi regimi, permettendomi di risalire con relativa confidenza per tutti i piani che componevano questa struttura sotterranea.
Proiettatomi con veemenza fuori dalla botola iniziale, ruzzolando sulla neve buttai meccanicamente un'occhio all'apertura, per scorgere la presenza della massa assassina che fino a quel momento mi aveva tenuto dietro.
Niente.
L'inseguimento sembrava essersi concluso a mio favore.
A quattro zampe, come un insicuro neonato, recuperai il fiato, le forze e forse anche il senno.
Mi sarei seduto sui calcagni se non avessi avuto i chiodi per il ghiaccio fermamente assicurati alle suole degli stivali. Perforarmi il deretano avrebbe reso più imbarazzante e scomodo il lungo viaggio del ritorno al campo base.
Cosa avrei detto ai miei colleghi e soprattutto al professor Wonderpoppen?
Un vaffanculo a te ed alle tue teorie del cazzo sembrava un buon inizio.

L'aereo c'è. Le chiavi pure. Cosa manca?
Ah già! Il pilota.


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