venerdì 30 ottobre 2015

Il re del sollazzo - Super House of Dead Ninjas

Anche stavolta abbiamo trovato un giochino che fa di rapidità, precisione e divertimento i suoi portabandiera.

Una torre da scorrere dal tetto fino alle fondamenta a velocità spesso vorticosa, tra trappole, nemici, tempo limite e stanze generate casualmente.













Armi, accessori ed abilità da sbloccare vincendo sfide sfiziose.













Una grafica semplice e funzionale, ma nondimeno deliziosa è arricchita da animazioni molto più curate di quanto non ci si aspetti.





















Ci sono un sacco di ninja.
Tu, rane, scimmie, statue, boss, amici su Steam. Ma ninja!













Un breve fumetto fa da introduzione alla storia.














E questo è il risultato nelle mani di un imbranato volenteroso:


sabato 24 ottobre 2015

Youtube I can not - The lesser evil

Agli albori della carriera del mio ultimo personaggio, quando le sirene del PVP ancora alludevano a gloria ed onore da guadagnare sul campo di battaglia, egli calcava gli oscuri soppalchi della Belfry Luna in cerca di validi avversari da sfidare a singolar tenzone.
Malauguratamente sul singolare c'era da mettersi prima d'accordo.
Prosegue imperterrita la mia pigra ostinazione nel non commentare con la mia suadente e calda voce gli eventi ripresi nel video seguente, pertanto varrà ancora una volta il suggerimento di visionare il filmato accompagnandolo con la lettura del testo in calce, per un'illusione di sincronia dettata esclusivamente dalla vostra velocità oculare.



Come nella migliore delle tradizioni della competitività che scorre sul Wi-Fi, la sorpresa la fa da padrona anche in queste terre dimenticate.
L'ergersi a capo chino, con umiltà e compostezza maschera solo in parte l'infrangersi del ghiaccio nelle mie vene nell'inquadrare l'inopportuno accompagnatore del mio bersaglio.
Sono arrivato un attimo prima che passassero la nebbia delle Gargolle e forse sono più spaventati di quanto lo sia io.
Le lame mulinano prontamente al mio indirizzo, mentre indietreggio goffamente per trovare il giusto ritmo. Un'apertura mi consente di portare un colpo efficace, ma al caro prezzo di un trittico di rappresaglie gentilmente concessomi dai miei avversari molto poco sportivi.
Recuperato un certo distacco evito una banale palla di fuoco e punisco l'incauto piromante con un fendente seguito da un elegante affondo al suo petto.
L'assalto mi viene interrotto dal suo compagno che non esita a colpirmi alle spalle.
Così vicino allo sbarazzarmi del suo custode bianco lo incalzo spavaldamente faccia a faccia, riducendolo ad una scomposta fuga che, al limite della piattaforma, si traduce per lui in una vera e propria esecuzione.
A questo punto le forze in campo sono state ristabilite, e forse, dico forse, ora il mio ultimo nemico, seppure in evidenti migliori condizioni di salute, sarà ulteriormente preoccupato. Decido che la carta migliore sia quindi continuare a piegarne la risolutezza, esibendomi così in una danza di vittoria ed al contempo di dileggio.
Egli però si riscuote fin troppo presto dal torpore indotto dal timore di trovarsi probabilmente faccia a faccia con un veterano dal cuore di pietra ed interrompe senza tante cerimonie la mia esibizione con un paio di colpi che mi spezzano definitivamente.
Mentre alza al cielo le braccia in quello che sarà certamente un naturale sfoggio di rilascio di tensione, penso mestamente alla scelta infelice del mio avversario per questa plurale tenzone.

Tanta fatica per un panciotto.

martedì 20 ottobre 2015

Ho perso le chiavi sulle montagne della follia


The madness of losing the keys in the mountains (of madness)


Ebbri di amaro Montenegro, io ed il mio fido compagno di avventure, Lucas, stavamo attraversando in volo la catena montuosa che si estendeva interminabile a nord del nostro campo base, con il chiaro intento di accertare la presenza di opere architettoniche riconducibili alla presenza passata di popoli alieni sul nostro pianeta.
Questa ridicola teoria del professor Arthur C. Wonderpoppen era riuscita a trarre sufficiente abbrivio tra i più suscettibili ed improbabili dei finanziatori, il cui raziocinio è stato probabilmente severamente compromesso da anni di esposizione a documentari dalla discutibile capacità divulgativa.
Fatto sta che una campagna di raccolta fondi in rete dopo io, Lucas ed altri ricercatori in disperato bisogno di lavoro ci siamo ritrovati con l'esimio professore a gelarci il fondoschiena battendo palmo a palmo un'infinità di ghiaccio.
Questi voli di ricognizione rappresentavano quantomeno un piacevole diversivo e non mi vergogno ad ammettere che ben poca della nostra attenzione era rivolta all'individuazione di cose che nessun uomo sano di mente sarebbe capace di ammettere ad alta voce senza arrossire.
Nessun uomo a parte Wonderpoppen, s'intende.
Mentre seguivo sornionamente l'ombra del nostro piccolo aereo tra le cime accecanti dei monti sotto di noi, destato di quando in quando dal colpo di gomito alle costole che mi infliggeva Lucas ogni qualvolta giravo lo sguardo al suo - ehi, ma quello non è forse un campanile? Ah ah ah - per poco non mi prese un colpo quando vidi la sagoma di un enorme pinguino sparire d'improvviso nel nulla.
Il colpo lo prese tuttavia Lucas, in quanto mi gettai letteralmente su di lui nel disperato tentativo di osservare meglio quell'improvviso, misterioso e piuttosto lontano fenomeno.
- Ma che cazzo combini, ci vuoi fare ammazzare? - il tono di Lucas non era più scherzoso - sono io che posso colpirti, perché tu non hai in mano la cloche del dannato aeroplano.
- Ma non hai visto? - mi difesi - c'era una sagoma scura, simile ad un pinguino, che trotterellava su quel piano e che d'un tratto è scomparsa! -
Lucas non poteva fare a meno di guardarmi come si fa con un povero imbecille.
- Per distinguere un pinguino da quassù avrebbe dovuto essere un bel signor pinguino - aggiunse con un sorriso a mezza bocca - ma dato che ti annoi abbastanza da dire scemenze ed io ho comunque bisogno di orinare, possiamo atterrare lì e vedere di farti fare la figura dello scemo. -
Non aveva ancora finito che già virava verso un tratto sufficientemente piano per consentire un atterraggio privo di incidenti.
Purtroppo per noi era l'unica cosa, da lì in poi, che si sarebbe rivelata priva di problemi.
Messi i piedi a terra, e già in cerca, col binocolo, dei segni che quanto avevo visto non fosse frutto dell'alcol, ero davvero disinteressato ai movimenti che Lucas faceva alle mie spalle, probabilmente celato dal nostro velivolo, intento a non congelarsi l'attrezzatura nell'atto di scaricarla.
Il non aver ricevuto, dopo alcuni minuti, nessun commento sarcastico sull'esito delle ricerche era insolito, così girai attorno all'aereo in cerca del mio pilota, e per quanto mi sforzai, non riuscì a trovarlo.
C'erano però delle orme che dal mezzo si inoltravano più avanti, e proprio lì una botola si apriva tra il ghiaccio e la neve, con una scala a pioli che permetteva di accedere all'antro sottostante.

L'ascia fa parte della dotazione standard della
guardia forestale dell'Antartide.

E proprio in questa caverna congelata zampettava un inquietante pinguino imperiale che al mio ingresso sbucò a fissarmi con evidente astio da dietro un angolo.
Rimanemmo ad osservarci per qualche secondo, immobili e, dal canto mio, indecisi sul da farsi.

Mimetizzarsi era fuori discussione.

Si ruppero gli indugi quando, all'avvicinarsi di un suo compagno, si fece baldanzoso avanti, con quel suo incedere traballante ed osceno, carico di grasso e sdegno, nel suo smoking lucente, per il mio abbigliamento funzionale.
Avreste dovuto vedere il giudizio severo in quegli occhietti piccoli, peggiore del peggiore degli stilisti dediti unicamente a cagare il cazzo sul modo di vestire altrui, unici depositari di un sapere mutevole, incerto e francamente totalmente sopravvalutato.
Non potevo permetterlo.
Mi vergognavo come un cane nella mia divisa cachi con le pratiche tasche laterali e gli scarponi grigi coi chiodi.
Arrossivo non visto nella mia maschera con visore a specchio e cappuccio in piuma d'oca con sbuffi di pellicciotto sul contorno.
Quanto sgraziato potevo essere col mio zaino Survival Master IV con il logo di Naruto?
Accecato dal disagio, mi lanciai urlando su di loro, brandendo un'ascia che sicuramente avrebbero ritenuto un accessorio discordante ed eccessivo, se il loro cervello non si fosse rovesciato sul pavimento.
Assicuratomi la sopravvivenza del mio fragile ego proseguii nell'esplorazione della caverna, attento ad evitare altri incontri e tenendo d'occhio le incombenti ed appuntite stalattiti disseminate sulla volta ghiacciata.
Trovai altre botole, e scesi ancora e ancora, fino alle rovine.

Coltello da caccia Taskmaster III,
con bussola, acciarino, filo e lenza da perdere in acqua.

Blocchi squadrati di pietra cremisi, con archi, bassorilievi, porte e trappole ancora attive.
Che il professore Wonderpoppen avesse avuto ragione?
Potevano degli uomini aver vissuto qui, prima che tonnellate di ghiaccio spingessero sempre più in basso questi luoghi, un tempo ormai lontano?
Probabilmente fu a questo punto che smisi attivamente di cercare Lucas e cominciai a guardarmi in giro come un vero e proprio esploratore.
Purtroppo non trovai ori, suppellettili o quant'altro da prelevare per poterli portare alla luce, nella segreta speranza di soppiantare il nome di Wonderpoppen con il mio, colui cioè che qualcosa aveva effettivamente trovato.
Ma quali alieni, porca di quella miseria?
Più mi inoltravo in profondità, più era ovvio che era tutto a dimensione umana.
Le botole, tanto per dirne una.
E le trappole? Chiaramente studiate per ferire piedi. Piedi umani.
I miei, per l'esattezza.

Revolver multitasking svizzero,
sei funzioni, tutte uguali.

Imparato a puntare il naso anche verso il basso, mentre nella discesa gli ambienti di pietra rossa lavorata facevano spazio a costruzioni giallo senape più antiche, abbandonai del tutto le considerazione umanistiche della faccenda.
Se quell'affare chitinoso lì davanti non era forse un alieno, di certo non era un essere umano.


E nemmeno i suoi compari.

La mia esplorazione, iniziata come una ricerca, si trasformava ora in una corsa disperata nella direzione diametralmente opposta a quella dei gamberoni che mi minacciavano ostentatamente.
Ma non potevo ancora risalire.
Sapevo dentro di me che se avessi perseverato, avrei trovato ciò che cercavo sul fondo di questo luogo terribile.
Non potevo più indugiare.
Mi feci meno attento, ma mi spostavo più rapidamente, correndo lontano da creature troppo numerose da affrontare od aggirare, sfruttando ogni dislivello che le tratteneva, cercando freneticamente la prossima botola.
Così, più che giungendo, capitombolando sui gradini dell'ennesima scala, seppi di essere arrivato all'ultimo piano. Quello decisivo.

Piuttosto evidente, no?

Dalla mia posizione sopraelevata era piuttosto evidente che al centro, diversi metri più in basso, si ergesse un altare cerimoniale di qualche tipo.
Un fumo denso aleggiava sopra qualcosa adagiato su di esso che mi impediva di discernere cosa fosse, ma che io sia dannato se ero arrivato fin lì senza scendere a dare un'occhiata.
La ricerca di un passaggio si rivelò più laboriosa del previsto, portandomi a chiedermi quale fosse lo scopo di avere un percorso tortuoso e sconveniente per raggiungere un luogo di culto.
Ma ci arrivai, ai piedi di quel luogo, e vidi con i miei occhi cosa c'era da vedere.

Sembra alquanto disidratato.

Il corpo rinsecchito di Lucas giaceva sulla cruda pietra, attorniato da candele votive, con la nube fumosa proprio sopra di noi.
Non vi prestai troppa attenzione, in quanto finalmente avevo a portata di mano ciò che necessitavo.
Abbandonata ogni possibilità di salvezza per il mio pilota, era finalmente ora di recuperare le chiavi dello stramaledetto aereo col quale schizzare a mille milioni di chilometri da questa follia.
Non mi giudicate male, anche voi avreste intrapreso questa odissea esclusivamente per le chiavi, ammettetelo, un tipo come Lucas, le cui gomitate alle costole e gli scherzi ripetuti alla nausea sono tollerabili solo con una bottiglia d'amaro a portata di mano, e se non fosse sufficiente, con una bottiglia vuota d'amaro da brandire come arma.
Forse in virtù di questi così miseramente caritatevoli pensieri, la nube di fumo cominciò a vorticare minacciosamente, e fin troppo velocemente, ad avanzare ronzante verso il mio capo.

Una nube assassina, un ranocchio ed un piccone
si incontrano in una rovina maledetta.

Gambe in spalla ripercorsi alla meno peggio i miei passi, trovando la risposta alla tortuosità del percorso di prima. Non deve essere difficile arrivare, quanto piuttosto andarsene.
Quanta fatica scalare, correre, schivare e saltare per tenere lontana una massa gassosa che filtrava tra le crepe, si librava in volo e si faceva generalmente beffe dei miei goffi tentativi di elusione.
La domanda era, sarei riuscito a tornare all'esterno tutto intero?
Forse l'adrenalina, di sicuro la paura, tennero la mia mente ai massimi regimi, permettendomi di risalire con relativa confidenza per tutti i piani che componevano questa struttura sotterranea.
Proiettatomi con veemenza fuori dalla botola iniziale, ruzzolando sulla neve buttai meccanicamente un'occhio all'apertura, per scorgere la presenza della massa assassina che fino a quel momento mi aveva tenuto dietro.
Niente.
L'inseguimento sembrava essersi concluso a mio favore.
A quattro zampe, come un insicuro neonato, recuperai il fiato, le forze e forse anche il senno.
Mi sarei seduto sui calcagni se non avessi avuto i chiodi per il ghiaccio fermamente assicurati alle suole degli stivali. Perforarmi il deretano avrebbe reso più imbarazzante e scomodo il lungo viaggio del ritorno al campo base.
Cosa avrei detto ai miei colleghi e soprattutto al professor Wonderpoppen?
Un vaffanculo a te ed alle tue teorie del cazzo sembrava un buon inizio.

L'aereo c'è. Le chiavi pure. Cosa manca?
Ah già! Il pilota.


sabato 10 ottobre 2015

Facebook Chronicles - Grand Imbeciles Hotel

Nababbo

6 ottobre 2015





C'è questo personaggio femminile, in una nota e temibile soap opera tedesca, dalla incredibile stupidità.
A causa dell'esposizione coatta a questa zozzeria televisiva nelle ore del desco, ho avuto il dubbio onore di essere testimone di una notevole quantità di cialtronerie dette e fatte da questa deficiente.
Ora, la scusa ufficiale per tutte le sue cazzate è che è una stupida.
Il punto è che, mentre sono impegnato a manducare laboriosamente, il mio cervello riceve ed elabora ciò che viene trasmesso e stasera mi ha presentato le implicazioni sociali di un simile individuo.
Essere così ingenui ed inetti è ben oltre il limite di una semplice stupidità, e ben dentro quelli di una palese deficienza mentale.
Se parli, ragioni e ti comporti come un bimbo di cinque anni sei a tutti gli effetti un caso clinico.
Oppure, e questa forse è più concreta, se tutti i colleghi comprimari del telefilm sono scritti con i piedi, e di conseguenza mediamente idioti, tu scrittore che devi crearne uno riconoscibile per stupidità, dovrai renderlo monumentalmente imbecille.
Ad aggravare la cosa, la scema se la è pure sposata un uomo molto più anziano, identificandolo immediatamente come un approfittatore di menti deboli e potenzialmente pedofilo.
Tutte queste considerazioni sorgono non appena si glassa sull'apparente normalità ed innocenza che in realtà questa produzione televisiva da quattro soldi vorrebbe dare ad intendere.
Quindi no, Werner, non credo tu sia un amabile sebbene arrogante uomo di mezza età, io ti vedo per ciò che sei, un pervertito.

domenica 4 ottobre 2015

Youtube I can not - Zit' & Run

Abbiamo già imparato che un semplice obiettivo non sempre si traduce in una operazione facile, stavolta però il fato posa un occhio benevolo su di me ed evita che i primi a tradirmi siano i mezzi di cui dispongo.
Sempre fedele alla comodità di non registrare anche un commento audio che non saprei da che parte cominciare a montare in sincronia al video che segue, vi esorto per l'ennesima volta a scorrere il testo in contemporanea alla visione del filmato, comodo escamotage anche per evitarvi di mettere impropriamente il video a schermo intero rivelandone viepiù l'imbarazzante definizione.



Onde evitare penose divagazione nella palude, il cui fradicio abbraccio già abbranca le miei caviglie, mi munisco di comoda mappa per puntare deciso al gruppo di casupole semi sommerse dove sono raccolti i fusti di benzina che dovrò fare brillare in una professionale operazione di infiltrazione alla zit' & run, ovverosia silenziosamente, non visto e rapido nel fuggire.
A tal scopo seguo istintivamente il profilo delle ombre proiettate dagli arbusti, la cui scorta sfrutto per arrivare non visto ad una fortunosa copertura che ospita un quad. La parte run del piano è a posto, pare.
Tutt'altro discorso invece per quanto riguarda la zit', visto che un molle perdigiorno che ciondolava sul pontile pare avermi visto avvicinare, o più propriamente sembra aver visto un'ombra sospetta, perché sono sempre un commando di tutto rispetto, comunque sia la sua inopportuna curiosità va immediatamente punita con i tutt'altro che silenziosi sette colpi di pistola che rivolgerò a denti stretti alla sua sfortunata sagoma.
L'immarcescibile bersaglio perdura nel ricevere colpi, quando finalmente cede all'overdose da piombo un suo compagno, non sordo alla fanfara di esplosioni, si intromette colpendomi non visto dal fianco della baracca.
Ligio all'esperienza del non risalire in linea retta la traiettoria dei proiettili a me destinati, sconfino sulla destra attraversando lo stanzone con l'intenzione di prendere alle spalle il difensore di cui ignoro l'esatta posizione.
Esatta posizione che per sua sfortuna scopro essere, non appena uscito all'aria aperta, proprio dietro ad un barile e più precisamente la cui testa si pone esattamente davanti alla canna del mio fucile.
Con il bersaglio della missione ormai chiaramente visibile oltre il velo dell'acqua, e consapevole di essermi bruciato qualsivoglia velleità di appropinquamento nell'ombra, il fortunoso posizionamento di una mitragliatrice leggera risolve la questione del come procedere in un attimo.
Imbracciato il potente mezzo di ritorsione, ne scarico la potenza devastante all'indirizzo dei barili e del misero tapino postovi incautamente a guardia, in una manciata di secondi di gradevoli fuochi d'artificio.
Lo sbuffo di fiamma che si innalza sul finale decreta il raggiungimento positivo dell'obiettivo prefissatomi, innescando prontamente la corsa in direzione del mezzo di fuga rinvenuto all'inizio.
In quello che mi piacerebbe definire un baleno torno lesto sui miei passi per saltare in sella ad un mezzo che divora la strada verso la libertà e al contempo le speranze dei sopravvissuti di colpire il responsabile del sabotaggio.


L'onestà intellettuale di due cacciatori.