mercoledì 15 agosto 2018

La tirannia di una pagina bianca

Rimbalza, se non più propriamente fermenta, nelle profondità della mia mente l'idea di scrivere qualcosa su alcuni giochi che ho sbocconcellato saltuariamente piuttosto che affrontato con determinazione classica.
È pur vero però che se avessi di valido da scriverne in merito qualcosa sul blog sarebbe già apparso, pertanto mi dilungherò un poco a parlare di quanto si sia rivelato davvero coinvolgente Tyranny, un gioco di ruolo della immarcescibile Obsidian che, complice un weekend gratuito su Steam, mi ha convinto ad acquistarne una copia, una volta in saldo su gog.com, visto che al momento, se possibile, preferisco lasciar languire il colosso di Seattle dopo le sue scelte drammaticamente libertarie sulla gestione del proprio negozio.
Incuriosito da tempo da questo gioco di ruolo che pare aver raccolto tiepidi consensi, in parte perché sembrava che il suo approccio che rivoltava su sé stesso il solito viaggio dell'eroe mancasse di mordente, mi sono lasciato tentare dal poterlo provare gratuitamente per un po' e dire che ne sono rimasto folgorato è dir poco.



Partiamo proprio da questa premessa.
La vasta isola sulla quale si svolge il dramma è sotto il giogo del/la potente Kyros che in un paio di secoli ha metodicamente annesso o conquistato i vari regni, imponendo la sua pace oltre ovviamente alla sua volontà, come nella più classica campagna di un Total Warfare.
In aggiunta all'evidente potere militare, costruito negli anni ed ampliato ad ogni conquista, il suo asso nella manica sono gli Editti, veri e propri ultimatum automatici che scatenano catastrofi localizzate, potenzialmente eterne e con delle chiarissime clausole che ne decidono l'inizio, la fine o il soddisfacimento.
Niente e nessuno può opporsi o fermare un Editto, questo, una volta recitato, è la nuova realtà.
Il gioco inizia con la campagna per la conquista dell'ultimo tratto di terra libera dal controllo dell'impero, una penisola a sud il cui punto di congiunzione al resto della terraferma è una catena montuosa, i Tiers, nel nome canonico.
Il giocatore è chiamato ad indossare gli stivali di un Fatebinder, un agente del braccio lungo della legge di Kyros che sarà coinvolto nelle decisioni che plasmeranno la conquista, inevitabile, di questo ultimo bastione della resistenza.
Difatti tutto il prologo prevede una serie di scelte da operare su dove concentrare il nostro interesse e come e chi avvantaggiare nello sforzo bellico, creando una serie di sottili differenze che permeeranno il resto dell'avventura.


All women cast kicks ass to local Archons

A mio avviso la punta di diamante è costituita dal gioco delle alleanze alle varie fazioni che regge tutto l'intreccio narrativo.
Per ogni scelta, nei dialoghi, è ben evidenziato l'effetto che avrà sul gruppo coinvolto e un pratico menu tiene nota di ogni azione rilevante, del relativo peso e di eventuali benefici/abilità peculiari, guadagnate.
Essenzialmente ci sono cinque modi per finire il gioco, contando di fallire miseramente nell'eradicazione della resistenza nelle prime ore e subire gli effetti nefasti di un editto che condanna ogni creatura vivente, alleata od ostile che sia, alla morte in caso di sopraggiunta scadenza senza risultati.
Ci si può affiliare ai Disfavored, seguendo il suo Arconte, Graven Ashe, una forza militare altamente specializzata con un radicato senso dell'onore e del dovere, oppure si può propendere per le torme urlanti ed omicide dello Scarlet Chorus, fidandosi dell'inquietante The Voices of Nerat, oppure prendere a cuore la situazione dei ribelli e sputtanarsi la carriera imperiale divenendo un loro campione o seguire un approccio più anarchico e schierarsi contro tutto e contro tutti, tutto ciò senza dimenticarsi del proprio superiore, Tunon, Arconte di giustizia.



Il sistema mi è parso così ben oliato che nella mia prima partita, alleato con i Disfavored e in buoni termini col tribunale, sebbene tendessi ad avere un occhio di riguardo per la popolazione assoggettata, ero convinto di essere destinato al finale di conquista con i militari quando, nel terzo atto, dovendo fare rapporto a Graven Ashe per cominciare l'assalto conclusivo alle forze di Nerat, per puro scrupolo decido di passare prima dal giudice Tunon che mi chiede di procedere, lì su due piedi, all'incriminazione di uno dei due arconti per la gestione insufficiente della campagna ed io avevo il maggior numero di prove incriminanti proprio sul mio alleato.
Così mi sono di colpo ritrovato, piuttosto sorpreso, a doverne eseguire la condanna e da lì al finale anarchico, con me come unico arconte in vita, assieme alla fedele Sirin, con quattro arconti morti sulla coscienza, una penisola in pezzi al mio comando, senza alcun alleato, con ogni fazione locale sconfitta o dispersa e Kyros piuttosto impermalosito/a.
Grandioso, mi ha ricordato il glorioso finale che raccattai in Fallout New Vegas con un triplo tradimento carpiato.


Scudo tondo e giavellotto, elmo di bronzo, aria fresca.

L'estetica e l'atmosfera del gioco sono di chiara ispirazione classica, una volta tanto abbandonando l'abusata immagine medioevale, con i Disfavored che con il loro ferro e le loro falangi corazzate combattono il bronzo delle forze avversarie, con l'impero di Kyros e la sua pace di ispirazione romana e l'idea propria di un impero che può espandersi così massivamente, o il tribunale che richiede retorica da frapporre alla logica.


La retorica di un licenziamento per cause (leggi: lesioni) personali

Non c'è una mappa nella quale muoversi liberamente, bensì dei punti specifici da selezionare, come in Dragon Age, lasciandomi con la netta impressione di avere a che fare con un gioco meno dispersivo, per la mia indole di vagabondo e la quasi totale assenza di incontri casuali durante gli spostamenti (al netto di un paio di sorprese).
Il sistema di combattimento è il piuttosto classico usa un'abilità e mettila in raffreddamento, arricchito però dalla possibilità di poter innescare delle mosse combinate con un alleato, o tra due alleati, guadagnate con la propria popolarità, sia essa positiva e pertanto definita lealtà, o negativa e descritta dalla semplice paura.
Eventuali oggetti magici, gli artefatti, guadagnano potere poi se utilizzati spesso o se in scontri importanti, evidenziando la diffusione della leggenda che li contraddistingue.
I combattimenti più duri poi possono essere gestiti rallentando leggermente l'azione come nel caso del mio scontro col temibile Bleden Mark e c'è comunque la pausa tattica di rigore.
Per contro, scontri più facili o esplorazioni più noiose possono essere velocizzate.



La qualità della scrittura è eccellente e di testi da leggere ce n'è a bizzeffe (stiamo pur sempre parlando di un rpg finanziato con qualche spicciolo), alcuni personaggi sono un vero piacere da tartassare di domande e sono davvero ben caratterizzati, per dire, il più classico dei tank è letteralmente un'armatura ambulante con la scopa in culo, Barik ma guadagna dieci punti stella se lo accompagnate con Verse, colei che tutto può nel mio party.
Kills-in-Shadows, la donna bestia, ha decine di testi che ne descrivono le movenze ferali mentre le si parla e un buon terzo riguardano il suo grattarsi distrattamente le mammelle (gli altri sono un putiferio di falangi che si spalancano, bava che fluisce, cosce che si contraggono in previsione di un balzo).
Tyranny è un ottimo gioco di ruolo che con poche risorse ma devolute nei punti giusti, scrittura, meccaniche, riesce brillantemente nel farci vestire un ruolo e una volta tirato via il velo, giocare anche con questa scoperta prevedibilità per soddisfare la nostra curiosità (per esempio iniziando una seconda campagna quando ancora si sta concludendo la prima).




Nessun commento:

Posta un commento