Dopo anni di preparazione è giunto finalmente il tanto atteso momento di vedere in opera il piano più ambizioso dell'impero. Ora più che mai, con un impreparato obiettivo così vulnerabile e Babilonia ed Alessandria d'Egitto così vicine, l'eredità di Alessandro, tanto contesa, sarà del Ponto.
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| La Messenia era alleata tanto quanto lo sono gli ospiti di un parassita. |
In quel bel periodo per la Grecia Antica che vide lo scoppio della devastante guerra del Peloponneso, Sparta ed Atene si contesero il dominio dell'Ellade. Si distinse per l'utilizzo di tattiche cruente e spesso crudeli da ambo le parti.
Se gli spartani si prodigavano nel saccheggio e nella distruzione delle aree esterne ad Atene e, ricordiamolo, impegnava in guerra gli iloti, popoli asserviti in Laconia e Messenia per permettere ai padroni di dedicarsi a ciò che più li aggradava, Atene non da meno sfruttava la sua posizione di forza in seno alla sua alleanza per derubare e dettare legge agli alleati.
Spesso, entrambe le parti, non esitavano a punire severamente le popolazioni delle poleis che osavano alzare la testa.
Fu una guerra lunga ed estenuante che si concluse con la vittoria di Sparta, che di lì a poco vide nascere il suo impero a danno dei persiani. Non se lo godettero a lungo. Potere e ricchezze mal si sposarono con il loro austero stile di vita.
Serse, da parte sua, pochi anni prima che i greci si scannassero a vicenda, tentò la conquista della Grecia passando per la Tracia, allora territorio persiano e si vide ostacolato alle Termopili, poi a Platea e definitivamente in mare nella battaglia di Salamina.
Finì ucciso in una congiura di palazzo insieme al figlio.
È altamente improbabile che fosse alto, calvo, privo di barba e glabro.
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| La sua tomba è comunque impressionante. |
Con la campagna temporaneamente sospesa nel periodo invernale, le ostilità riprendono all'ombra dei nuovi sviluppi sulla scacchiera del Mar Nero.
La nazione germanica si è guadagnata uno sbocco al mare, e di lì ai porti mercantili imperiali, a spese del più importante snodo commerciale macedone, da questi ultimi perso prima in una ribellione delle combattive popolazioni locali e poi definitivamente per mano dei germanici stessi che hanno sedato le rivolte imponendo il loro dominio.
Questa destabilizzazione si aggiunge alle numerose sconfitte militari subite in Colchide, costate la vita di migliaia di soldati, di cui un buon numero di insostituibili veterani, da cui i macedoni sono sempre meno in grado di riprendersi, una crisi economica e produttiva infertagli dall'imponente embargo marittimo ed in ultimo dal cedimento della ricca Kutaisi per un misero pagamento in denaro.
Quale momento più proficuo per dare loro un altro bello scossone?
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| Prima però... |
C'è solo da sistemare un'ultima incombenza nei territori imperiali meridionali.
Con Ichthysades nei porti di Gerusalemme ed Antiochia ad organizzare l'imponente spedizione, viene conferito a Taxmaspada, un giovine ed imberbe generale, l'onere di tenere i Tolomei strettamente nei loro confini.
I bellicosi vicini egiziani, vistosi ridotti i territori alla loro nazione originaria, stanno ammassando nuove truppe al confine col chiaro scopo di riprendersi i loro antichi domini.
Visto che l'esteso territorio desertico che divide le tre città di frontiera non permette di eleggere nessuna tra Gerusalemme, Bostra o Petra come bastione difensivo preferenziale, Taxmaspada fa erigere un forte a pochi chilometri dalla congiuntura di Egitto ed Arabia e si attesta lì con tutte le truppe migliori di cui gli è concessa disponibilità, col relativo supporto delle guarnigioni leggere cittadine ed un collegamento marittimo efficiente con il centro dell'impero.
Pertanto, quando un esercito tolemaico fa rotta per Gerusalemme ed un altro, loro alleato del regno orientale, penetra in Arabia Petrea, il giovane generale può dimostrare le sue capacità e l'efficacia del suo sistema difensivo.
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| Si sono portati gli elefanti. |
Inviando i fanti galati in supporto al governatore in Giudea che riescono con facilità a disperdere l'arrabattato contingente egiziano, permette al protettore meridionale dell'impero di ingaggiare la formazione più pericolosa con uomini sufficienti.
Il muro di scudi degli opliti si rivela impenetrabile per le asce dei mercenari nubiani e le picche dei falangiti disperdono i pochi pachidermi sopravvissuti. A quel punto non resta molto altro da combattere.
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| Ce l'avranno ancora per quella vecchia storia della caccia al principino? |
L'ultimo sassolino nella scarpa di cui liberarsi a questo punto sono quei pestiferi perdenti del fu impero seleucidico, la cui gran parte dei territori è stata fagocitata da praticamente tutti i suoi nemici.
Niente più che una seccatura, si ostinano ancora ad inviare cadaveri ambulanti verso i nostri confini.
A questo punto fermarli diviene una questione umanitaria.
Perché infine ascoltino la voce della ragione però, diamo loro un'ulteriore dimostrazione della loro follia (sapete, quella storia del ripetere sempre lo stesso errore aspettandosi un risultato diverso).
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Chiaramente più lucidi del solito, cosa testimoniata dalla loro predisposizione alla fuga, sembrano ora più ricettivi e finalmente, dopo decenni di una guerra che li ha visti commettere un fatale errore di valutazione, acconsentono a ricevere il nostro ramo d'ulivo.
Acconsentire forse è un abbellimento ma forzarli ad accettare la tregua, pena la rimozione totale della loro civiltà da tutto l'oriente forse faceva apparire il Ponto un tantino eccessivo.
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| Parafernalia di Amelia, detto la voce di Sauron. |
Sotto quali migliori auspici dunque imbarcarsi finalmente per il viaggio che porterà gloria imperitura ad Ichthysades e, per proprietà transitiva, all'imperatore?
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| Il mio è un piano semplice. |
Dopo lungo attendere, due eserciti imponenti, guidati dal miglior condottiero pontico, forti di macchine d'assedio bastanti per l'impresa, sbarcano dopo il lento viaggio dalle coste siriane, in Attica, presso Atene ed in Arcadia presso Corinto.
La lunga preparazione richiesta è dovuta all'ambizione del piano.
Ichthysades, con i suoi uomini, muoverà alla conquista di tutta la penisola del Peloponneso mentre il suo luogotenente provvederà a creare una piazzaforte poco più a nord per tenere lontani rinforzi macedoni.
Forti della sorpresa dell'attacco e dell'attenta opera di spionaggio in loco, sappiamo che le città, sebbene provviste di solide mura, sono impreparate ad un assalto simile e a testimonianza di ciò vi è che il re Macedone, Paterinos Evergete, è rimasto intrappolato tra le due formazioni offensive, impossibilitato a fuggire.
Tutto però dipende dalla rapidità e dal mantenimento dell'impeto.
La prima sulla lista è la ricca Atene.
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Ora, Rodi ci ha insegnato che assediare una città dalla forte identità equivale a trasformarne i cittadini in guerrieri indomiti. Qui entrano in gioco gli onagri. Si assaltano le mura senza porre tempo in mezzo.
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Questo ci permette di avere a che fare solo con le truppe già dislocate sul posto che in questo caso sono palesemente insufficienti. Sebbene temibili, solo due reparti di opliti sono in città. Pertanto tre falangi saranno bastevoli.
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Limitando così le vittime pontiche e sfruttando saggiamente il reparto extra per gli aggiramenti, l'offensiva non solo ha successo ma permette di destinare le truppe rimanenti verso ulteriori obiettivi.
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La caduta di Atene è già di per sé un colpo importate per i macedoni ma il Ponto non è qui solo per i loro territori e le loro ricchezze, è qui anche per dare un messaggio.
Non scherzate col fuoco, soprattutto se è il nostro.
Il saccheggio della capitale dell'Attica è sistematico e cruento e sono pochi i cittadini risparmiati dalla mattanza.
Una volta al controllo dell'urbe, subentra uno dei due satrapi arrivati con le truppe per gestire le questioni governative.
Le mura vengono subito riparate e viene ordinata la costruzione di un sistema fognario onde poter finalmente avere una testa di ponte solida e funzionale.
La prossima tappa è Tebe, capitale della Beozia, ancora più in profondità nei territori macedoni e un'occasione troppo succulenta da lasciarsi per dopo.
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Le semplici palizzate servono solo a nascondere un numero più consistente di uomini armati all'interno, pertanto la formazione di militari pontici è più numerosa della precedente e meglio equipaggiata.
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Dopo un infruttuoso tentativo di tenerci fermi al varco, annullato dall'apertura di altri due lungo il perimetro, i difensori convergono nell'agorà per tentare il tutto per tutto spalla a spalla.
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Da bravi greci oppongono una strenua resistenza sebbene alla fine si dimostri insufficiente. Forse motivati dalle notizie terribili giunte da Atene continuano a combattere fino all'ultimo uomo.
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Ciononostante le nostre perdite sono trascurabili e anche qui si ripete il destino funesto che ha precedentemente colpito gli ateniesi. La facile vittoria innesca così un'ulteriore ambizione. Il controllo della Beozia e dell'Attica non garantisce una efficace chiusura dal continente, così il luogotenente vittorioso, per non deludere la fiducia del suo comandante, decide di spingersi ancora a nordovest verso la Tessaglia, precisamente a Larissa.
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| Fermi così. |
Ricorsi un'altra volta all'irrinunciabile contributo degli onagri, un'unica formazione di scudi bronzei viene inviata al centro della città per affrontare di petto la sola unità di cavalleria a guardia della piazza centrale.
Le speranze di sopravvivenza dei cittadini si infrangono come i loro protettori sulla punta delle lance nemiche.
La relativa facilità della vittoria ed un pensiero al futuro della dominazione sui popoli ellenici porta il governatore a risparmiare la vita dei cittadini, seppure al caro prezzo di venderne una parte come schiavi e di disperderne le genti all'interno dei territori imperiali.
Con il nord saldamente in mano al contingente di supporto tocca ad Ichthysades sottomettere i popoli della Laconia ed Arcadia, cominciando proprio da Corinto, sede del governo macedone e pertanto del re avversario.
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Scelto con molta cura il punto delle mura da abbattere per avere facile accesso alla via per l'agorà, è questione di poco sgominare la prima linea a difesa dell'ingresso, travolta dalla rapidità del nostro incedere.
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Con alcuni poderosi falangiti macedoni lasciati a riorganizzarsi ai piedi delle mura e attesi da un muro di lance degli opliti di Nicomedia, Ichthysades, con le spalle al sicuro, penetra in profondità e prepara un'accoglienza calorosa al numeroso contingente di cavalieri che accompagnano il re.
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Forte di un esercito di rinforzo che si è attestato nell'agorà, il monarca macedone attacca con i suoi uomini la linea pontica che trova però ben preparata e la sua avventatezza gli costerà la vita e quella dei suoi uomini.
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Con nessun altro rinforzo in arrivo le ultime truppe macedoni si compattano in una serrata falange e tentano di reggere all'impeto dei soldati pontici. Bersagliati dai dardi del generale e aggirati su tutti i fianchi, vacillano e cadono valorosamente uno alla volta.
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Per senso del dovere e fedeltà al re ad alla patria, i suoi uomini migliori non cedono fino a che l'ultimo di loro non carica, solitario e senza speranza, i galati che gli si scagliano incontro.
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Corinto, al centro del Peloponneso e del governo macedone, cade e con essa molte delle vite dei suoi cittadini sono perdute, derubati ed assassinati per cupidigia e vendetta.
Ora Sparta, Patrasso ed Olimpia sono a portata di mano.
Il gioiello della corona di tutta quest'opera di conquista, che sta avvenendo nel giro di soli sei mesi, il tempo di un solo turno, nel caso vi stiate chiedendo dove sia finita la reazione macedone, è proprio il territorio cui fa capo Patrasso, con la mitica statua di Zeus presso Olimpia che se acquisita porterà il sentimento panellenico a nostro vantaggio (rende i territori conquistati più fedeli) rafforzando di molto la coesione dell'impero e compromettendo quella dei numerosi possedimenti macedoni.
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| Perché Ponto vuol dire famiglia. |
Lasciando il secondo satrapo a barcamenarsi tra burocrazia e sete di sangue dei sopravvissuti corinzi, l'inarrestabile condottiero, con le mani ancora macchiate dal sangue regale, dirige buona parte dei suoi uomini verso Patrasso e le sue imponenti mura.
I macigni scagliati dagli onagri praticano due diverse brecce nelle spesse mura cittadine, proprio ai lati del portone orientale, consentendo l'accesso di due distinte unità di incursori che come da tradizione assottigliano la prima linea di difesa cittadina, composta per lo più da determinati militi in armamento leggero.
Le truppe corazzate passano facilmente indenni attraverso la nube dei loro dardi e ben presto si scagliano loro addosso mentre sui parapetti due altri gruppi di fanteria leggera galata stanno espugnando una torre dopo l'altra per consentire al resto delle truppe ed al loro comandante di avvicinarsi ed incanalarsi sulla via principale.
Da lì, divisi in due gruppi, i sei manipoli aggirano in tutta fretta la formazione nemica, impossibilitata ad evitare un simile fato.
A quel punto la battaglia per Patrasso è già conclusa e l'obiettivo principale, il monumento al divino Zeus, è di proprietà pontica.
Già benedetti dai suoi benefici, i nuovi padroni reputano eccessivo l'uso di ulteriore forza e destinano parte della popolazione alla schiavitù ed alla ricollocazione in diversi luoghi dell'impero.
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| Cantami o Dea di quei galli che urlavano sguaiati al centro di Sparta, priva di fossa per persiani ma cinta da mura che non dovrebbero esserci. |
La Laconia è tutto quel che resta da prendere di queste terre e come artefici del suo destino vengono inviati solo pochi uomini, più che sufficienti per piegare l'ombra di ciò che un tempo erano gli spartani.
Da anni privi dell'opera degli iloti, comodi schiavi da loro sfruttati per secoli per mantenere il loro stile di vita così focalizzato nell'arte militare, asserviti loro stessi agli ordini dei più forti, caduti a migliaia, loro come molti altri greci, nella fallimentare campagna macedone contro il regno del Ponto, i lacedemoni che i nostri soldati devono affrontare sono ben poca cosa.
Tutto quello che resta loro è la volontà di non cedere e delle mura che Sparta non dovrebbe avere ma tant'è.
Gli spartani superstiti vengono ridotti alla catena, come lezione di umiltà e sparsi nei vasti domini del nuovo impero che serviranno fino alla morte.
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| Un impero, si badi, ben vasto. |
Il risultato di questi frenetici sei mesi sono un ingente incremento delle ricchezze della tesoreria, prontamente investite in servizi, opere ed infrastrutture in tutto il dominio, più di trentamila morti tra i cittadini greci ed altrettanti venduti come schiavi, un'espansione delle capacità commerciali grazie a cinque nuovi porti ad occidente, una presa più salda su tutte le conquiste e un problematico avversario ridimensionato seppure ancora in gioco.































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