martedì 28 febbraio 2017

Mitridate VI Nabautore - Al cuor che si comanda

L'ardita e pienamente riuscita manovra militare ai danni degli arroganti macedoni ha enormemente arricchito l'impero del Ponto, non solo di ingenti tesori materiali ma anche di un patrimonio culturale ed artistico senza pari.
Ben lungi dall'essere soddisfatto per i risultati già conseguiti, sua graziosità l'imperatore Megabizus ha esortato i suoi uomini a proseguire nell'opera di sottomissione degli ancora vasti territori del nemico, soprattutto dopo la rassegnazione dei seleucidi e l'indebolimento dei tolemaici.

Una scacchiera per soli alfieri.

Pella, capitale della Botteia e del regno di Macedonia, le cui origini del nome e relativo significato sono di  ben altro spessore rispetto a quello attribuitogli dall'equivalente nel mio dialetto locale, fu una città dal triste destino.
Prima che Filippo ne facesse il punto di partenza per una delle opere di conquista più incredibili della storia, era nota solo per la passione dei suoi abitanti per il vino, esempio lampante di quanto i greci, civilizzati quanto volete, rimanessero fondamentalmente dei saccenti.
Smisero di ridere quando gli eserciti di questi ubriaconi li fecero marciare dritti dritti verso la sottomissione e di lì anche nelle profondità dell'impero persiano.
Il regno macedone cessò nel 168 a.C., dopo una decisiva sconfitta ad opera dei romani, in piena campagna di conquista della Grecia.
Di lì in poi, dopo un inevitabile saccheggio, perse via via di importanza fino ad ridursi in un grosso villaggio di baracche.
Dopo un terremoto ricevette anche un'umanissima stroncatura sul Trinus Advisorus dell'epoca (insignificante, con pochissimi abitanti).

La caccia al leone, ieri come oggi il rifugio
di uomini dal pene piccolissimo.

Cosa si può dire di una potenza che in guerra con un avversario temibile decide di colpirlo, nella sua opera di ritorsione, direttamente al suo cuore?
Questo è il quesito che sua arguzia Megabizus ha posto alla corte per divertirla nella festa che celebrava lo sbarco e la conquista delle province greche del Peloponneso.
L'impresa di Ichthysades ha echeggiato con fragore in tutto l'impero e fuori dai nostri confini tutto quello che possiamo udire sono il silenzio degli infelici eredi di Seleuco, le grida di dolore dei macedoni, lo sfregare furioso dei denti dei figli di Tolomeo ed i tamburi di guerra in Armenia.
La tregua imposta a Babilonia regge ancora oggi e non ci sono segnali che facciano pensare che in Seleucia alberghino ancora pensieri nefasti ed autolesionisti, consentendo una distensione sulla frontiera sudorientale a beneficio di quella settentrionale, nella quale sono stati segnalati due contingenti di medie dimensioni partiti da Armavir, l'antica capitale armena oggi territorio macedone nella poco invidiabile condizione di essere cinta da Ponto e Armenia e separata da territori amici, un ulteriore e vasto esercito in marcia da nord e un altro non meno numeroso imbarcato su una flotta di quinqueremi che hanno rotto l'assedio del porto di Olbia e navigano con rotta sud est.

Ariobarzanes si gode il cedimento del nemico.

L'ingegnoso capitano pontico è l'uomo più vicino per affrontare la più immediata delle minacce, non potendoci permettere il lusso di lasciare al nemico l'occasione ed il tempo per radunare tutti gli uomini.
Posizionato in via precauzionale proprio sul confine con i territori di Armavir, è suo compito ingaggiare la formazione macedone in arrivo ed una volta sistemata spostarsi di alcuni chilometri a nord per intercettare il secondo gruppo.
Ancora al comando di un eterogeneo gruppo di militari riesce a far fruttare le varie specializzazioni dei diversi reparti, facendo buon uso delle truppe leggere di supporto inviategli da Trebisonda.
Queste ultime, dopo un inizio burrascoso che le ha viste cedere il passo al nemico agguerrito, recuperano l'ordine e tornano in supporto dei compagni, contribuendo alla disfatta degli avversari.

Se non sai come usarli non portarteli dietro.

La seconda formazione è meno numerosa ma armata di macchine d'assedio chiaramente destinate a Kutaisi. Sarebbe davvero ironico se quegli onagri fossero stati pagati con i soldi presi dai Macedoni per cederci la città.
Comunque sia li hanno investiti molto male, lasciandoli alla mercé dell'incursione dei miei carri fin troppo ansiosi di far saltare tendini e cordame vario.
L'aggressione della cavalleria spinge i fanti ad una controffensiva disordinata, esponendoli a quella meglio organizzata delle falangi pontiche.

Mercenari traci in fuga.

Con gli elementi di disturbo ormai derubricati, sebbene i sopravvissuti abbiano fatto in tempo a rifugiarsi nel nord dal quale sono giunti, comunque troppo impegnati a leccarsi le ferite per intervenire nell'immediato, resta da affrontare l'esercito che marcia sulle coste della Colchide ed è proprio lì che il governatore Ardumanish intende fermarli.
Dopo scaramucce di trascurabile entità torniamo ora ad una battaglia campale di tutto rispetto, in un terreno sgombro e relativamente pianeggiante con un paesaggio malinconico e austero.
Il generale ha tutte le intenzioni di rinfrescare ai macedoni le leggende che vedono in questi luoghi l'accesso all'Ade e di facilitarne pertanto il transito.

- Un fiorino!

Nessun ombrellone in vista.

Le due formazioni si avvicinano a centrocampo.

Compattezza vs. flessibilità.

Infine giunti.

Gli animi si scaldano.

Quindi si ricorre al bagnetto.

Le due formazioni rimangono disposte ordinatamente per tutto il tempo dell'approccio, ognuna secondo la sua strategia, con i macedoni spalla a spalla in una linea fitta e continua ed i pontici in due linee distinte con spazi per agevolare l'ingresso delle retrovie o lo sconfinamento di audaci ed incauti nemici.
Passata la parola alle armi, la sorte di uno dei due schieramenti appare evidente fin da subito e non sono pochi gli uomini che abbandonano le loro posizioni per tornare alla strada dalla quale sono venuti, comunque troppo pochi per rappresentare un rischio ma parimenti sufficienti a scoraggiare i quattro reparti di rinforzo troppo indietro per poter essere utili nel momento del bisogno.

Il primo rinforzo in terra greca.

Quietati gli animi bellicosi in oriente è tempo di tornare in Grecia a riprendere l'impeto conquistatore, non prima però di mettere gli opliti di Nicomedia, appena giunti dal continente, all'opera contro un timido tentativo di opposizione in Tessaglia.
Nientemeno che dal cuore della Macedonia stessa sono arrivati dei militi che sembrano minacciare Larissa, pertanto vanno adeguatamente dissuasi dallo spingersi oltre.
Con i fianchi coperti dai nuovi rinforzi e dall'opera di consolidamento dei due satrapi, Aspurges di Prusia e Theophales lo storpio, l'inarrestabile condottiero Ichthysades può condurre i suoi uomini ancora più ad occidente, sottraendo anche Thermon, in Etolia.

Solo ci va giù un po' pesante con la pece...

Sottoposta ad un pesante bombardamento, la città vede i suoi malconci difensori battersi tra le macerie e gli edifici in fiamme e fallire nell'arginare la sete di potere degli invasori.
In seguito all'alleggerimento delle politiche di pacificazione delle popolazioni assoggettate, anche per Thermon viene selezionata una parte dei cittadini per la ricollocazione e per la schiavitù.

Usare il territorio contro di loro.

Con le città di Thermon e Larissa possiamo operare uno strozzamento che ridurrà considerevolmente le opzioni di accesso delle unità nemiche nel nostro territorio e tenere quel non trascurabile assembramento di militari macedoni in stallo. Questo e la latitanza di altre forze nel nord contribuisce alla messa in atto dell'attacco della capitale macedone stessa, la città di Pella.

I galli entrano a Roma.

Con un anticipo sulla storia ufficiale di trentasette anni, il regno di Macedonia cede la sua madrepatria all'invasore, non romano però, persiano.
Un tale evento vorrebbe un'epica battaglia da narrare ma la dura realtà è che gli uomini al comando di Attalo lo spartano lo lasciano al suo destino e quei pochi che gli si raccolgono intorno non possono salvare né lui né la città.

Vivrà per raccontare della sua disfatta.

L'apertura della frontiera così a nord la rende decisamente più estesa e meno controllabile ma quello che appare subito evidente è che di nemici nei paraggi ce ne sono davvero pochi.
Che sia frutto dell'impegno bellico ad oriente, che tanti uomini ha condannato alle lance del Ponto o una semplice mancanza di denaro e risorse, resta il fatto che sembrerebbe fin troppo facile estendere ulteriormente la nostra influenza in più direzioni, soprattutto contando sul fatto che i confini con germani e romani sono ancora lontani, fatto garantito dall'estensione del regno macedone.
Per approfittare però della situazione favorevole occorre fare ricorso a quella che ormai è una mastodontica macchina bellica.
Tra Cizico e Nicomedia vengono quindi raccolte due spedizioni di piccole dimensioni destinate a carpire i porti di Bisanzio e Anfipoli ed arricchire ulteriormente l'impero decretando una volta per tutte chi ha il controllo del Mar Nero.

A proposito della qual cosa...

La rottura dell'embargo in una manciata di porti, proprio nel suddetto mare, dopo un primo momento di stupore, appare per quella che è, una manovra disperata e in colpevole ritardo.
Alcune delle nostre navi si raggruppano nei porti più nevralgici per il nemico per offrire una migliore resistenza mentre una flotta viene inviata dall'Egeo per intercettare il trasporto di truppe che non deve raggiungere i nostri lidi e da lì riportare l'ordine sulle acque che controlliamo.
Se pensate però che in questi due anni di numerose conquiste sia stato lasciato libero di godermi i risultati senza interferenze egiziane, permettetemi di deludervi.



Nubiani.

Ptedoros, Mr. 42

Ad eccezione di Pterodos, per sua sfortuna privo di ali di membrana e becco importante, morto eroicamente schiacciato dal cavallo, ci rimangono da segnalare come magro bottino un misero n. 41, vittima in un'accesa riunione condominiale sui posti assegnati per il parcheggio della signora del terzo piano e messere 43, turista a Thermon durante la pioggia di fuoco, spirato mentre esponeva i suoi dubbi riguardo alla sicurezza di simili spettacoli pirotecnici in città.
Per quanto concerne gli sconfinamenti in territorio arabo, Taxmaspada si fa sempre trovare pronto, intercettando i nemici, vuoi fuori da Gerusalemme che nei pressi della fortezza alla frontiera.
Forte della possibilità di muovere personale dal confine al centro e viceversa, non deficita mai di uomini abili alla lotta.

La scaletta di Taxmaspada, in attesa di un nome più altisonante.

Non fate gli spiritosi, un generale ateniese ci prese
a calci gli spartani con una linea di fanti obliqua.

Battuti a più riprese, i tolomei non sembrano afferrare il concetto e a giudicare dal numero degli uomini che si raccolgono vicino a Pelusio, all'ingresso per l'Egitto, c'è da aspettarsi un altro tentativo di invasione, forse meno patetico degli altri.
Viene quindi esortata una risoluzione per la pacificazione dei confini meridionali e vista l'inefficacia dei sistemi diplomatici, non resta che preparare una campagna per strappare il fertilissimo basso Egitto al suo indegno padrone e ricacciarlo in profondità nei territori aridi che gli spettano. Ridotto il suo regno ad una manciata di province, offrirà tutto un altro orecchio alle nostre proposte.



Nel frattempo, in questi tempi caotici, scoppiano diversi disordini in aree distanti dell'impero ma le truppe sempre disponibili nei luoghi chiave vengono indirizzate senza indugio a riportare l'ordine ed il timore per l'imperatore, mentre a Kutaisi e a Creta fervono i preparativi per la creazione di un reggimento di militari autoctoni da destinare ai compiti di ricognizione ed intervento, da aggregare a reparti di cavalleria pesante dei catafratti.

Un po' lontano da casa, ragazzo mio.

Senza dimenticare che proprio ad est di Kutaisi giace l'ultima conquista macedone, con l'erede al trono isolato con i suoi uomini a rimuginare quando esattamente tutto quanto sia andato a sacerdotesse dei misteri eleusini.

martedì 21 febbraio 2017

Are you going to

play For Honor?

Lo so, lo so, vi ho lasciato senza l'illuminate mia imbeccata proprio nel periodo natalizio, quando decine se non centinaia di titoli titillavano il vostro portafogli e non avevate un post cui appigliarvi per evitare di prendere l'inevitabile giocone super pubblicizzato che fuor dalle patinate e cliccate pagine più roboanti rivelava un'esistenza meno divina e certamente più terrena.
Se non fosse che voi, lettori, non esistete e pertanto la mia coscienza è non solo sorda all'evento ma decisamente ignara della cosa.
Dopo questo inutile preambolo, in quanto dovuto ad una controparte che non è, posso finalmente passare a dire perché la risposta alla domanda succitata è un prevedibile no.
Se su console forse non c'era un vero e proprio genere di cappa e spada competitivo, fatta eccezione per tutti i figli, bastardi o meno, dei Souls, qui nella prodiga terra del PC, dove tutti fanno un po' quel che gli pare, ci sono già delle alternative che, rispetto alla nuova proposta Ubisoft, peccano solo in impatto visivo.

Il gioco più ovvio da porre in cima alla lista è quel bel pezzo di indie dalle aspirazioni megalomaniache di cui tutti attendiamo la moderna incarnazione Bannerlord, sua vecchiettitudine Mount & Blade che oltre ad avere un singleplayer praticamente eterno grazie alla vastità del suo meccanismo di gioco e alla prodigiosa quantità di mod e conversioni totali, presenta anche una vibrante comunità per il gioco competitivo e cooperativo, anch'essa ricca di produzioni non ufficiali molto apprezzate.
Quella nella quale ho abbandonato la mia dignità a lungo è cRPG, nella quale gente di altissima destrezza ridicolizzava la mia insistenza nel presentarmi alla pugna con armi a due mani che piazzavo sempre nella posizione di difesa meno appropriata.
Perché le direzioni da cui attaccare e pertanto, dalle quali avvedersi, sono ben quattro e se hai scelto quella sbagliata difficilmente avrai il lusso di un tentativo riparatore.
Quando però azzeccavi il tempismo o nel caos della mischia piazzavi l'estremità della tua ascia lunga tra le scapole del campioncino locale, sottrattore avido di respawn, la piccola soddisfazione faceva il suo bell'eco.

Sempre dal circuito indipendente è arrivato, anni fa, Chivalry: Medieval Warfare, il cui appeal si può riassumere nell'immagine che segue:

La cura con la quale hanno renderizzato il disappunto sul suo viso
per la decollazione è un grande conseguimento tecnico per un piccolo studio.

Molto di più che un simulatore di rimozione di estremità varie, il gioco è un apprezzabilissimo passatempo per tutti coloro che desiderano partecipare ad una razzia o ad un estemporaneo duello.
La scherma è piuttosto semplificata ma riesce ad essere per me ancora un'arte nella quale mi arrabatto con una certa evidente mancanza di coordinazione.
Per spezzare una lancia in suo favore, prima che decida di spezzare il mio scudo con una mazza ferrata, dirò che spesso vengono fuori delle risse molto divertenti e il sapere che una mossa falsa può significare la fine del balletto porta a degli scambi di colpi molto affascinanti da vedere, se avete il lusso di orbitare, come spettatore, attorno ai vostri compagni ancora vivi per battersi.

E poter pertanto ammirare due cavalieri coreografare il loro astio.
Ok, sorpresa dell'ultimo minuto.
Avrei voluto anche scrivere di War of the Roses, gioco multiplayer con più di un'ispirazione da Mount & Blade ma l'ho appena installato per scoprire che non solo non si avvia ma che chiuderanno i server entro fine mese e che lo stanno generalmente rimuovendo dai vari negozi virtuali.
Ci avevo fatto qualche fugace incursione e scoperto che aveva dell'ovvia attrattiva ma che non avrei goduto di una buona esperienza col vecchio PC.
Una brutta sorpresa davvero, soprattutto perché dagli stessi autori, come forse avrete avuto modo di vedere, sto apprezzando davvero molto Vermintide.

- Stanno chiudendo i server, capito?
- Ma cosa mi dici mai?

Ho già avuto modo di spendere due parole in suo favore e tutto quello che posso aggiungere ora è che ho provato l'orrore di una partita a difficoltà cataclisma, ho imparato ad usare lo scudo come un ometto, fornendo al party quella difesa intervallata da scudate in faccia alle moltitudini, resistere con destrezza e spregio del pericolo ad un'intera pattuglia di Stormvermin fino a piegarla di soli coppini a livello incubo e il triste coitus interruptus di digitare ad un chiaramente inaccorto compagno di avventure il mio pensiero a riguardo del suo commento - you deserved to die - dove you sta per voi, ignaro che in un gioco cooperativo se perdo io perdi anche tu. Purtroppo, come da abitudine per persone come lui, si è disconnesso un attimo prima di imparare qualcosa.

La scia gialla è lo scudare in faccia alle moltitudini.

E riguardo a For Honor?
Che ne so, mica ci ho giocato!

domenica 19 febbraio 2017

Mitridate VI Nabautore - Il Peloponneso in un Serse

Dopo anni di preparazione è giunto finalmente il tanto atteso momento di vedere in opera il piano più ambizioso dell'impero. Ora più che mai, con un impreparato obiettivo così vulnerabile e Babilonia ed Alessandria d'Egitto così vicine, l'eredità di Alessandro, tanto contesa, sarà del Ponto.

La Messenia era alleata tanto quanto lo sono gli ospiti di un parassita.

In quel bel periodo per la Grecia Antica che vide lo scoppio della devastante guerra del Peloponneso, Sparta ed Atene si contesero il dominio dell'Ellade. Si distinse per l'utilizzo di tattiche cruente e spesso crudeli da ambo le parti.
Se gli spartani si prodigavano nel saccheggio e nella distruzione delle aree esterne ad Atene e, ricordiamolo, impegnava in guerra gli iloti, popoli asserviti in Laconia e Messenia per permettere ai padroni di dedicarsi a ciò che più li aggradava, Atene non da meno sfruttava la sua posizione di forza in seno alla sua alleanza per derubare e dettare legge agli alleati.
Spesso, entrambe le parti, non esitavano a punire severamente le popolazioni delle poleis che osavano alzare la testa.
Fu una guerra lunga ed estenuante che si concluse con la vittoria di Sparta, che di lì a poco vide nascere il suo impero a danno dei persiani. Non se lo godettero a lungo. Potere e ricchezze mal si sposarono con il loro austero stile di vita.
Serse, da parte sua, pochi anni prima che i greci si scannassero a vicenda, tentò la conquista della Grecia passando per la Tracia, allora territorio persiano e si vide ostacolato alle Termopili, poi a Platea e definitivamente in mare nella battaglia di Salamina.
Finì ucciso in una congiura di palazzo insieme al figlio.
È altamente improbabile che fosse alto, calvo, privo di barba e glabro.

La sua tomba è comunque impressionante.

Con la campagna temporaneamente sospesa nel periodo invernale, le ostilità riprendono all'ombra dei nuovi sviluppi sulla scacchiera del Mar Nero.
La nazione germanica si è guadagnata uno sbocco al mare, e di lì ai porti mercantili imperiali, a spese del più importante snodo commerciale macedone, da questi ultimi perso prima in una ribellione delle combattive popolazioni locali e poi definitivamente per mano dei germanici stessi che hanno sedato le rivolte imponendo il loro dominio.
Questa destabilizzazione si aggiunge alle numerose sconfitte militari subite in Colchide, costate la vita di migliaia di soldati, di cui un buon numero di insostituibili veterani, da cui i macedoni sono sempre meno in grado di riprendersi, una crisi economica e produttiva infertagli dall'imponente embargo marittimo ed in ultimo dal cedimento della ricca Kutaisi per un misero pagamento in denaro.
Quale momento più proficuo per dare loro un altro bello scossone?

Prima però...

C'è solo da sistemare un'ultima incombenza nei territori imperiali meridionali.
Con Ichthysades nei porti di Gerusalemme ed Antiochia ad organizzare l'imponente spedizione, viene conferito a Taxmaspada, un giovine ed imberbe generale, l'onere di tenere i Tolomei strettamente nei loro confini.
I bellicosi vicini egiziani, vistosi ridotti i territori alla loro nazione originaria, stanno ammassando nuove truppe al confine col chiaro scopo di riprendersi i loro antichi domini.
Visto che l'esteso territorio desertico che divide le tre città di frontiera non permette di eleggere nessuna tra Gerusalemme, Bostra o Petra come bastione difensivo preferenziale, Taxmaspada fa erigere un forte a pochi chilometri dalla congiuntura di Egitto ed Arabia e si attesta lì con tutte le truppe migliori di cui gli è concessa disponibilità, col relativo supporto delle guarnigioni leggere cittadine ed un collegamento marittimo efficiente con il centro dell'impero.
Pertanto, quando un esercito tolemaico fa rotta per Gerusalemme ed un altro, loro alleato del regno orientale, penetra in Arabia Petrea, il giovane generale può dimostrare le sue capacità e l'efficacia del suo sistema difensivo.

Si sono portati gli elefanti.

Inviando i fanti galati in supporto al governatore in Giudea che riescono con facilità a disperdere l'arrabattato contingente egiziano, permette al protettore meridionale dell'impero di ingaggiare la formazione più pericolosa con uomini sufficienti.
Il muro di scudi degli opliti si rivela impenetrabile per le asce dei mercenari nubiani e le picche dei falangiti disperdono i pochi pachidermi sopravvissuti. A quel punto non resta molto altro da combattere.

Ce l'avranno ancora per quella vecchia storia della caccia al principino?

L'ultimo sassolino nella scarpa di cui liberarsi a questo punto sono quei pestiferi perdenti del fu impero seleucidico, la cui gran parte dei territori è stata fagocitata da praticamente tutti i suoi nemici.
Niente più che una seccatura, si ostinano ancora ad inviare cadaveri ambulanti verso i nostri confini.
A questo punto fermarli diviene una questione umanitaria.
Perché infine ascoltino la voce della ragione però, diamo loro un'ulteriore dimostrazione della loro follia (sapete, quella storia del ripetere sempre lo stesso errore aspettandosi un risultato diverso).



Chiaramente più lucidi del solito, cosa testimoniata dalla loro predisposizione alla fuga, sembrano ora più ricettivi e finalmente, dopo decenni di una guerra che li ha visti commettere un fatale errore di valutazione, acconsentono a ricevere il nostro ramo d'ulivo.
Acconsentire forse è un abbellimento ma forzarli ad accettare la tregua, pena la rimozione totale della loro civiltà da tutto l'oriente forse faceva apparire il Ponto un tantino eccessivo.

Parafernalia di Amelia, detto la voce di Sauron.

Sotto quali migliori auspici dunque imbarcarsi finalmente per il viaggio che porterà gloria imperitura ad Ichthysades e, per proprietà transitiva, all'imperatore?

Il mio è un piano semplice.

Dopo lungo attendere, due eserciti imponenti, guidati dal miglior condottiero pontico, forti di macchine d'assedio bastanti per l'impresa, sbarcano dopo il lento viaggio dalle coste siriane, in Attica, presso Atene ed in Arcadia presso Corinto.
La lunga preparazione richiesta è dovuta all'ambizione del piano.
Ichthysades, con i suoi uomini, muoverà alla conquista di tutta la penisola del Peloponneso mentre il suo luogotenente provvederà a creare una piazzaforte poco più a nord per tenere lontani rinforzi macedoni.
Forti della sorpresa dell'attacco e dell'attenta opera di spionaggio in loco, sappiamo che le città, sebbene provviste di solide mura, sono impreparate ad un assalto simile e a testimonianza di ciò  vi è che il re Macedone, Paterinos Evergete, è rimasto intrappolato tra le due formazioni offensive, impossibilitato a fuggire.
Tutto però dipende dalla rapidità e dal mantenimento dell'impeto.
La prima sulla lista è la ricca Atene.



Ora, Rodi ci ha insegnato che assediare una città dalla forte identità equivale a trasformarne i cittadini in guerrieri indomiti. Qui entrano in gioco gli onagri. Si assaltano le mura senza porre tempo in mezzo.



Questo ci permette di avere a che fare solo con le truppe già dislocate sul posto che in questo caso sono palesemente insufficienti. Sebbene temibili, solo due reparti di opliti sono in città. Pertanto tre falangi saranno bastevoli.


Limitando così le vittime pontiche e sfruttando saggiamente il reparto extra per gli aggiramenti, l'offensiva non solo ha successo ma permette di destinare le truppe rimanenti verso ulteriori obiettivi.

La caduta di Atene è già di per sé un colpo importate per i macedoni ma il Ponto non è qui solo per i loro territori e le loro ricchezze, è qui anche per dare un messaggio.
Non scherzate col fuoco, soprattutto se è il nostro.
Il saccheggio della capitale dell'Attica è sistematico e cruento e sono pochi i cittadini risparmiati dalla mattanza.
Una volta al controllo dell'urbe, subentra uno dei due satrapi arrivati con le truppe per gestire le questioni governative.
Le mura vengono subito riparate e viene ordinata la costruzione di un sistema fognario onde poter finalmente avere una testa di ponte solida e funzionale.
La prossima tappa è Tebe, capitale della Beozia, ancora più in profondità nei territori macedoni e un'occasione troppo succulenta da lasciarsi per dopo.



Le semplici palizzate servono solo a nascondere un numero più consistente di uomini armati all'interno, pertanto la formazione di militari pontici è più numerosa della precedente e meglio equipaggiata.



Dopo un infruttuoso tentativo di tenerci fermi al varco, annullato dall'apertura di altri due lungo il perimetro, i difensori convergono nell'agorà per tentare il tutto per tutto spalla a spalla.


Da bravi greci oppongono una strenua resistenza sebbene alla fine si dimostri insufficiente. Forse motivati dalle notizie terribili giunte da Atene continuano a combattere fino all'ultimo uomo.
Ciononostante le nostre perdite sono trascurabili e anche qui si ripete il destino funesto che ha precedentemente colpito gli ateniesi. La facile vittoria innesca così un'ulteriore ambizione. Il controllo della Beozia e dell'Attica non garantisce una efficace chiusura dal continente, così il luogotenente vittorioso, per non deludere la fiducia del suo comandante, decide di spingersi ancora a nordovest verso la Tessaglia, precisamente a Larissa.

Fermi così.

Ricorsi un'altra volta all'irrinunciabile contributo degli onagri, un'unica formazione di scudi bronzei viene inviata al centro della città per affrontare di petto la sola unità di cavalleria a guardia della piazza centrale.
Le speranze di sopravvivenza dei cittadini si infrangono come i loro protettori sulla punta delle lance nemiche.
La relativa facilità della vittoria ed un pensiero al futuro della dominazione sui popoli ellenici porta il governatore a risparmiare la vita dei cittadini, seppure al caro prezzo di venderne una parte come schiavi e di disperderne le genti all'interno dei territori imperiali.
Con il nord saldamente in mano al contingente di supporto tocca ad Ichthysades sottomettere i popoli della Laconia ed Arcadia, cominciando proprio da Corinto, sede del governo macedone e pertanto del re avversario.



Scelto con molta cura il punto delle mura da abbattere per avere facile accesso alla via per l'agorà, è questione di poco sgominare la prima linea a difesa dell'ingresso, travolta dalla rapidità del nostro incedere.


Con alcuni poderosi falangiti macedoni lasciati a riorganizzarsi ai piedi delle mura e attesi da un muro di lance degli opliti di Nicomedia, Ichthysades, con le spalle al sicuro, penetra in profondità e prepara un'accoglienza calorosa al numeroso contingente di cavalieri che accompagnano il re.


Forte di un esercito di rinforzo che si è attestato nell'agorà, il monarca macedone attacca con i suoi uomini la linea pontica che trova però ben preparata e la sua avventatezza gli costerà la vita e quella dei suoi uomini.


Con nessun altro rinforzo in arrivo le ultime truppe macedoni si compattano in una serrata falange e tentano di reggere all'impeto dei soldati pontici. Bersagliati dai dardi del generale e aggirati su tutti i fianchi, vacillano e cadono valorosamente uno alla volta.


Per senso del dovere e fedeltà al re ad alla patria, i suoi uomini migliori non cedono fino a che l'ultimo di loro non carica, solitario e senza speranza, i galati che gli si scagliano incontro.

Corinto, al centro del Peloponneso e del governo macedone, cade e con essa molte delle vite dei suoi cittadini sono perdute, derubati ed assassinati per cupidigia e vendetta.
Ora Sparta, Patrasso ed Olimpia sono a portata di mano.
Il gioiello della corona di tutta quest'opera di conquista, che sta avvenendo nel giro di soli sei mesi, il tempo di un solo turno, nel caso vi stiate chiedendo dove sia finita la reazione macedone, è proprio il territorio cui fa capo Patrasso, con la mitica statua di Zeus presso Olimpia che se acquisita porterà il sentimento panellenico a nostro vantaggio (rende i territori conquistati più fedeli) rafforzando di molto la coesione dell'impero e compromettendo quella dei numerosi possedimenti macedoni.

Perché Ponto vuol dire famiglia.

Lasciando il secondo satrapo a barcamenarsi tra burocrazia e sete di sangue dei sopravvissuti corinzi, l'inarrestabile condottiero, con le mani ancora macchiate dal sangue regale, dirige buona parte dei suoi uomini verso Patrasso e le sue imponenti mura.

Apri due ingressi con la forza

e poi per sfregio usa la porta.

Un corteo di morti accoglie Ichthysades al suo ingresso in città.

Un ben diverso corteo attraversa la via maestra.

Il confronto finale.

Oggi sul curriculum è meno utile di un tempo.

Imperatore, gradisca.

I macigni scagliati dagli onagri praticano due diverse brecce nelle spesse mura cittadine, proprio ai lati del portone orientale, consentendo l'accesso di due distinte unità di incursori che come da tradizione assottigliano la prima linea di difesa cittadina, composta per lo più da determinati militi in armamento leggero.
Le truppe corazzate passano facilmente indenni attraverso la nube dei loro dardi e ben presto si scagliano loro addosso mentre sui parapetti due altri gruppi di fanteria leggera galata stanno espugnando una torre dopo l'altra per consentire al resto delle truppe ed al loro comandante di avvicinarsi ed incanalarsi sulla via principale.
Da lì, divisi in due gruppi, i sei manipoli aggirano in tutta fretta la formazione nemica, impossibilitata ad evitare un simile fato.
A quel punto la battaglia per Patrasso è già conclusa e l'obiettivo principale, il monumento al divino Zeus, è di proprietà pontica.
Già benedetti dai suoi benefici, i nuovi padroni reputano eccessivo l'uso di ulteriore forza e destinano parte della popolazione alla schiavitù ed alla ricollocazione in diversi luoghi dell'impero.

Cantami o Dea di quei galli che urlavano sguaiati al centro di Sparta,
priva di fossa per persiani ma cinta da mura che non dovrebbero esserci.

La Laconia è tutto quel che resta da prendere di queste terre e come artefici del suo destino vengono inviati solo pochi uomini, più che sufficienti per piegare l'ombra di ciò che un tempo erano gli spartani.
Da anni privi dell'opera degli iloti, comodi schiavi da loro sfruttati per secoli per mantenere il loro stile di vita così focalizzato nell'arte militare, asserviti loro stessi agli ordini dei più forti, caduti a migliaia, loro come molti altri greci, nella fallimentare campagna macedone contro il regno del Ponto, i lacedemoni che i nostri soldati devono affrontare sono ben poca cosa.
Tutto quello che resta loro è la volontà di non cedere e delle mura che Sparta non dovrebbe avere ma tant'è.
Gli spartani superstiti vengono ridotti alla catena, come lezione di umiltà e sparsi nei vasti domini del nuovo impero che serviranno fino alla morte.

Un impero, si badi, ben vasto.

Il risultato di questi frenetici sei mesi sono un ingente incremento delle ricchezze della tesoreria, prontamente investite in servizi, opere ed infrastrutture in tutto il dominio, più di trentamila morti tra i cittadini greci ed altrettanti venduti come schiavi, un'espansione delle capacità commerciali grazie a cinque nuovi porti ad occidente, una presa più salda su tutte le conquiste e un problematico avversario ridimensionato seppure ancora in gioco.