L'ardita e pienamente riuscita manovra militare ai danni degli arroganti macedoni ha enormemente arricchito l'impero del Ponto, non solo di ingenti tesori materiali ma anche di un patrimonio culturale ed artistico senza pari.
Ben lungi dall'essere soddisfatto per i risultati già conseguiti, sua graziosità l'imperatore Megabizus ha esortato i suoi uomini a proseguire nell'opera di sottomissione degli ancora vasti territori del nemico, soprattutto dopo la rassegnazione dei seleucidi e l'indebolimento dei tolemaici.
Pella, capitale della Botteia e del regno di Macedonia, le cui origini del nome e relativo significato sono di ben altro spessore rispetto a quello attribuitogli dall'equivalente nel mio dialetto locale, fu una città dal triste destino.
Prima che Filippo ne facesse il punto di partenza per una delle opere di conquista più incredibili della storia, era nota solo per la passione dei suoi abitanti per il vino, esempio lampante di quanto i greci, civilizzati quanto volete, rimanessero fondamentalmente dei saccenti.
Smisero di ridere quando gli eserciti di questi ubriaconi li fecero marciare dritti dritti verso la sottomissione e di lì anche nelle profondità dell'impero persiano.
Il regno macedone cessò nel 168 a.C., dopo una decisiva sconfitta ad opera dei romani, in piena campagna di conquista della Grecia.
Di lì in poi, dopo un inevitabile saccheggio, perse via via di importanza fino ad ridursi in un grosso villaggio di baracche.
Dopo un terremoto ricevette anche un'umanissima stroncatura sul Trinus Advisorus dell'epoca (insignificante, con pochissimi abitanti).
Cosa si può dire di una potenza che in guerra con un avversario temibile decide di colpirlo, nella sua opera di ritorsione, direttamente al suo cuore?
Questo è il quesito che sua arguzia Megabizus ha posto alla corte per divertirla nella festa che celebrava lo sbarco e la conquista delle province greche del Peloponneso.
L'impresa di Ichthysades ha echeggiato con fragore in tutto l'impero e fuori dai nostri confini tutto quello che possiamo udire sono il silenzio degli infelici eredi di Seleuco, le grida di dolore dei macedoni, lo sfregare furioso dei denti dei figli di Tolomeo ed i tamburi di guerra in Armenia.
La tregua imposta a Babilonia regge ancora oggi e non ci sono segnali che facciano pensare che in Seleucia alberghino ancora pensieri nefasti ed autolesionisti, consentendo una distensione sulla frontiera sudorientale a beneficio di quella settentrionale, nella quale sono stati segnalati due contingenti di medie dimensioni partiti da Armavir, l'antica capitale armena oggi territorio macedone nella poco invidiabile condizione di essere cinta da Ponto e Armenia e separata da territori amici, un ulteriore e vasto esercito in marcia da nord e un altro non meno numeroso imbarcato su una flotta di quinqueremi che hanno rotto l'assedio del porto di Olbia e navigano con rotta sud est.
L'ingegnoso capitano pontico è l'uomo più vicino per affrontare la più immediata delle minacce, non potendoci permettere il lusso di lasciare al nemico l'occasione ed il tempo per radunare tutti gli uomini.
Posizionato in via precauzionale proprio sul confine con i territori di Armavir, è suo compito ingaggiare la formazione macedone in arrivo ed una volta sistemata spostarsi di alcuni chilometri a nord per intercettare il secondo gruppo.
Ancora al comando di un eterogeneo gruppo di militari riesce a far fruttare le varie specializzazioni dei diversi reparti, facendo buon uso delle truppe leggere di supporto inviategli da Trebisonda.
Queste ultime, dopo un inizio burrascoso che le ha viste cedere il passo al nemico agguerrito, recuperano l'ordine e tornano in supporto dei compagni, contribuendo alla disfatta degli avversari.
La seconda formazione è meno numerosa ma armata di macchine d'assedio chiaramente destinate a Kutaisi. Sarebbe davvero ironico se quegli onagri fossero stati pagati con i soldi presi dai Macedoni per cederci la città.
Comunque sia li hanno investiti molto male, lasciandoli alla mercé dell'incursione dei miei carri fin troppo ansiosi di far saltare tendini e cordame vario.
L'aggressione della cavalleria spinge i fanti ad una controffensiva disordinata, esponendoli a quella meglio organizzata delle falangi pontiche.
Con gli elementi di disturbo ormai derubricati, sebbene i sopravvissuti abbiano fatto in tempo a rifugiarsi nel nord dal quale sono giunti, comunque troppo impegnati a leccarsi le ferite per intervenire nell'immediato, resta da affrontare l'esercito che marcia sulle coste della Colchide ed è proprio lì che il governatore Ardumanish intende fermarli.
Dopo scaramucce di trascurabile entità torniamo ora ad una battaglia campale di tutto rispetto, in un terreno sgombro e relativamente pianeggiante con un paesaggio malinconico e austero.
Il generale ha tutte le intenzioni di rinfrescare ai macedoni le leggende che vedono in questi luoghi l'accesso all'Ade e di facilitarne pertanto il transito.
Le due formazioni rimangono disposte ordinatamente per tutto il tempo dell'approccio, ognuna secondo la sua strategia, con i macedoni spalla a spalla in una linea fitta e continua ed i pontici in due linee distinte con spazi per agevolare l'ingresso delle retrovie o lo sconfinamento di audaci ed incauti nemici.
Passata la parola alle armi, la sorte di uno dei due schieramenti appare evidente fin da subito e non sono pochi gli uomini che abbandonano le loro posizioni per tornare alla strada dalla quale sono venuti, comunque troppo pochi per rappresentare un rischio ma parimenti sufficienti a scoraggiare i quattro reparti di rinforzo troppo indietro per poter essere utili nel momento del bisogno.
Quietati gli animi bellicosi in oriente è tempo di tornare in Grecia a riprendere l'impeto conquistatore, non prima però di mettere gli opliti di Nicomedia, appena giunti dal continente, all'opera contro un timido tentativo di opposizione in Tessaglia.
Nientemeno che dal cuore della Macedonia stessa sono arrivati dei militi che sembrano minacciare Larissa, pertanto vanno adeguatamente dissuasi dallo spingersi oltre.
Con i fianchi coperti dai nuovi rinforzi e dall'opera di consolidamento dei due satrapi, Aspurges di Prusia e Theophales lo storpio, l'inarrestabile condottiero Ichthysades può condurre i suoi uomini ancora più ad occidente, sottraendo anche Thermon, in Etolia.
Sottoposta ad un pesante bombardamento, la città vede i suoi malconci difensori battersi tra le macerie e gli edifici in fiamme e fallire nell'arginare la sete di potere degli invasori.
In seguito all'alleggerimento delle politiche di pacificazione delle popolazioni assoggettate, anche per Thermon viene selezionata una parte dei cittadini per la ricollocazione e per la schiavitù.
Con le città di Thermon e Larissa possiamo operare uno strozzamento che ridurrà considerevolmente le opzioni di accesso delle unità nemiche nel nostro territorio e tenere quel non trascurabile assembramento di militari macedoni in stallo. Questo e la latitanza di altre forze nel nord contribuisce alla messa in atto dell'attacco della capitale macedone stessa, la città di Pella.
Con un anticipo sulla storia ufficiale di trentasette anni, il regno di Macedonia cede la sua madrepatria all'invasore, non romano però, persiano.
Un tale evento vorrebbe un'epica battaglia da narrare ma la dura realtà è che gli uomini al comando di Attalo lo spartano lo lasciano al suo destino e quei pochi che gli si raccolgono intorno non possono salvare né lui né la città.
L'apertura della frontiera così a nord la rende decisamente più estesa e meno controllabile ma quello che appare subito evidente è che di nemici nei paraggi ce ne sono davvero pochi.
Che sia frutto dell'impegno bellico ad oriente, che tanti uomini ha condannato alle lance del Ponto o una semplice mancanza di denaro e risorse, resta il fatto che sembrerebbe fin troppo facile estendere ulteriormente la nostra influenza in più direzioni, soprattutto contando sul fatto che i confini con germani e romani sono ancora lontani, fatto garantito dall'estensione del regno macedone.
Per approfittare però della situazione favorevole occorre fare ricorso a quella che ormai è una mastodontica macchina bellica.
Tra Cizico e Nicomedia vengono quindi raccolte due spedizioni di piccole dimensioni destinate a carpire i porti di Bisanzio e Anfipoli ed arricchire ulteriormente l'impero decretando una volta per tutte chi ha il controllo del Mar Nero.
La rottura dell'embargo in una manciata di porti, proprio nel suddetto mare, dopo un primo momento di stupore, appare per quella che è, una manovra disperata e in colpevole ritardo.
Alcune delle nostre navi si raggruppano nei porti più nevralgici per il nemico per offrire una migliore resistenza mentre una flotta viene inviata dall'Egeo per intercettare il trasporto di truppe che non deve raggiungere i nostri lidi e da lì riportare l'ordine sulle acque che controlliamo.
Se pensate però che in questi due anni di numerose conquiste sia stato lasciato libero di godermi i risultati senza interferenze egiziane, permettetemi di deludervi.
Ad eccezione di Pterodos, per sua sfortuna privo di ali di membrana e becco importante, morto eroicamente schiacciato dal cavallo, ci rimangono da segnalare come magro bottino un misero n. 41, vittima in un'accesa riunione condominiale sui posti assegnati per il parcheggio della signora del terzo piano e messere 43, turista a Thermon durante la pioggia di fuoco, spirato mentre esponeva i suoi dubbi riguardo alla sicurezza di simili spettacoli pirotecnici in città.
Per quanto concerne gli sconfinamenti in territorio arabo, Taxmaspada si fa sempre trovare pronto, intercettando i nemici, vuoi fuori da Gerusalemme che nei pressi della fortezza alla frontiera.
Forte della possibilità di muovere personale dal confine al centro e viceversa, non deficita mai di uomini abili alla lotta.
Battuti a più riprese, i tolomei non sembrano afferrare il concetto e a giudicare dal numero degli uomini che si raccolgono vicino a Pelusio, all'ingresso per l'Egitto, c'è da aspettarsi un altro tentativo di invasione, forse meno patetico degli altri.
Viene quindi esortata una risoluzione per la pacificazione dei confini meridionali e vista l'inefficacia dei sistemi diplomatici, non resta che preparare una campagna per strappare il fertilissimo basso Egitto al suo indegno padrone e ricacciarlo in profondità nei territori aridi che gli spettano. Ridotto il suo regno ad una manciata di province, offrirà tutto un altro orecchio alle nostre proposte.
Nel frattempo, in questi tempi caotici, scoppiano diversi disordini in aree distanti dell'impero ma le truppe sempre disponibili nei luoghi chiave vengono indirizzate senza indugio a riportare l'ordine ed il timore per l'imperatore, mentre a Kutaisi e a Creta fervono i preparativi per la creazione di un reggimento di militari autoctoni da destinare ai compiti di ricognizione ed intervento, da aggregare a reparti di cavalleria pesante dei catafratti.
![]() |
| Una scacchiera per soli alfieri. |
Pella, capitale della Botteia e del regno di Macedonia, le cui origini del nome e relativo significato sono di ben altro spessore rispetto a quello attribuitogli dall'equivalente nel mio dialetto locale, fu una città dal triste destino.
Prima che Filippo ne facesse il punto di partenza per una delle opere di conquista più incredibili della storia, era nota solo per la passione dei suoi abitanti per il vino, esempio lampante di quanto i greci, civilizzati quanto volete, rimanessero fondamentalmente dei saccenti.
Smisero di ridere quando gli eserciti di questi ubriaconi li fecero marciare dritti dritti verso la sottomissione e di lì anche nelle profondità dell'impero persiano.
Il regno macedone cessò nel 168 a.C., dopo una decisiva sconfitta ad opera dei romani, in piena campagna di conquista della Grecia.
Di lì in poi, dopo un inevitabile saccheggio, perse via via di importanza fino ad ridursi in un grosso villaggio di baracche.
Dopo un terremoto ricevette anche un'umanissima stroncatura sul Trinus Advisorus dell'epoca (insignificante, con pochissimi abitanti).
![]() |
| La caccia al leone, ieri come oggi il rifugio di uomini dal pene piccolissimo. |
Cosa si può dire di una potenza che in guerra con un avversario temibile decide di colpirlo, nella sua opera di ritorsione, direttamente al suo cuore?
Questo è il quesito che sua arguzia Megabizus ha posto alla corte per divertirla nella festa che celebrava lo sbarco e la conquista delle province greche del Peloponneso.
L'impresa di Ichthysades ha echeggiato con fragore in tutto l'impero e fuori dai nostri confini tutto quello che possiamo udire sono il silenzio degli infelici eredi di Seleuco, le grida di dolore dei macedoni, lo sfregare furioso dei denti dei figli di Tolomeo ed i tamburi di guerra in Armenia.
La tregua imposta a Babilonia regge ancora oggi e non ci sono segnali che facciano pensare che in Seleucia alberghino ancora pensieri nefasti ed autolesionisti, consentendo una distensione sulla frontiera sudorientale a beneficio di quella settentrionale, nella quale sono stati segnalati due contingenti di medie dimensioni partiti da Armavir, l'antica capitale armena oggi territorio macedone nella poco invidiabile condizione di essere cinta da Ponto e Armenia e separata da territori amici, un ulteriore e vasto esercito in marcia da nord e un altro non meno numeroso imbarcato su una flotta di quinqueremi che hanno rotto l'assedio del porto di Olbia e navigano con rotta sud est.
![]() |
| Ariobarzanes si gode il cedimento del nemico. |
L'ingegnoso capitano pontico è l'uomo più vicino per affrontare la più immediata delle minacce, non potendoci permettere il lusso di lasciare al nemico l'occasione ed il tempo per radunare tutti gli uomini.
Posizionato in via precauzionale proprio sul confine con i territori di Armavir, è suo compito ingaggiare la formazione macedone in arrivo ed una volta sistemata spostarsi di alcuni chilometri a nord per intercettare il secondo gruppo.
Ancora al comando di un eterogeneo gruppo di militari riesce a far fruttare le varie specializzazioni dei diversi reparti, facendo buon uso delle truppe leggere di supporto inviategli da Trebisonda.
Queste ultime, dopo un inizio burrascoso che le ha viste cedere il passo al nemico agguerrito, recuperano l'ordine e tornano in supporto dei compagni, contribuendo alla disfatta degli avversari.
![]() |
| Se non sai come usarli non portarteli dietro. |
La seconda formazione è meno numerosa ma armata di macchine d'assedio chiaramente destinate a Kutaisi. Sarebbe davvero ironico se quegli onagri fossero stati pagati con i soldi presi dai Macedoni per cederci la città.
Comunque sia li hanno investiti molto male, lasciandoli alla mercé dell'incursione dei miei carri fin troppo ansiosi di far saltare tendini e cordame vario.
L'aggressione della cavalleria spinge i fanti ad una controffensiva disordinata, esponendoli a quella meglio organizzata delle falangi pontiche.
![]() |
| Mercenari traci in fuga. |
Con gli elementi di disturbo ormai derubricati, sebbene i sopravvissuti abbiano fatto in tempo a rifugiarsi nel nord dal quale sono giunti, comunque troppo impegnati a leccarsi le ferite per intervenire nell'immediato, resta da affrontare l'esercito che marcia sulle coste della Colchide ed è proprio lì che il governatore Ardumanish intende fermarli.
Dopo scaramucce di trascurabile entità torniamo ora ad una battaglia campale di tutto rispetto, in un terreno sgombro e relativamente pianeggiante con un paesaggio malinconico e austero.
Il generale ha tutte le intenzioni di rinfrescare ai macedoni le leggende che vedono in questi luoghi l'accesso all'Ade e di facilitarne pertanto il transito.
|
|
||||
|
|||||
|
|||||
|
|||||
|
|
||||
Passata la parola alle armi, la sorte di uno dei due schieramenti appare evidente fin da subito e non sono pochi gli uomini che abbandonano le loro posizioni per tornare alla strada dalla quale sono venuti, comunque troppo pochi per rappresentare un rischio ma parimenti sufficienti a scoraggiare i quattro reparti di rinforzo troppo indietro per poter essere utili nel momento del bisogno.
![]() |
| Il primo rinforzo in terra greca. |
Quietati gli animi bellicosi in oriente è tempo di tornare in Grecia a riprendere l'impeto conquistatore, non prima però di mettere gli opliti di Nicomedia, appena giunti dal continente, all'opera contro un timido tentativo di opposizione in Tessaglia.
Nientemeno che dal cuore della Macedonia stessa sono arrivati dei militi che sembrano minacciare Larissa, pertanto vanno adeguatamente dissuasi dallo spingersi oltre.
Con i fianchi coperti dai nuovi rinforzi e dall'opera di consolidamento dei due satrapi, Aspurges di Prusia e Theophales lo storpio, l'inarrestabile condottiero Ichthysades può condurre i suoi uomini ancora più ad occidente, sottraendo anche Thermon, in Etolia.
![]() |
| Solo ci va giù un po' pesante con la pece... |
Sottoposta ad un pesante bombardamento, la città vede i suoi malconci difensori battersi tra le macerie e gli edifici in fiamme e fallire nell'arginare la sete di potere degli invasori.
In seguito all'alleggerimento delle politiche di pacificazione delle popolazioni assoggettate, anche per Thermon viene selezionata una parte dei cittadini per la ricollocazione e per la schiavitù.
![]() |
| Usare il territorio contro di loro. |
Con le città di Thermon e Larissa possiamo operare uno strozzamento che ridurrà considerevolmente le opzioni di accesso delle unità nemiche nel nostro territorio e tenere quel non trascurabile assembramento di militari macedoni in stallo. Questo e la latitanza di altre forze nel nord contribuisce alla messa in atto dell'attacco della capitale macedone stessa, la città di Pella.
![]() |
| I galli entrano a Roma. |
Con un anticipo sulla storia ufficiale di trentasette anni, il regno di Macedonia cede la sua madrepatria all'invasore, non romano però, persiano.
Un tale evento vorrebbe un'epica battaglia da narrare ma la dura realtà è che gli uomini al comando di Attalo lo spartano lo lasciano al suo destino e quei pochi che gli si raccolgono intorno non possono salvare né lui né la città.
![]() |
| Vivrà per raccontare della sua disfatta. |
L'apertura della frontiera così a nord la rende decisamente più estesa e meno controllabile ma quello che appare subito evidente è che di nemici nei paraggi ce ne sono davvero pochi.
Che sia frutto dell'impegno bellico ad oriente, che tanti uomini ha condannato alle lance del Ponto o una semplice mancanza di denaro e risorse, resta il fatto che sembrerebbe fin troppo facile estendere ulteriormente la nostra influenza in più direzioni, soprattutto contando sul fatto che i confini con germani e romani sono ancora lontani, fatto garantito dall'estensione del regno macedone.
Per approfittare però della situazione favorevole occorre fare ricorso a quella che ormai è una mastodontica macchina bellica.
Tra Cizico e Nicomedia vengono quindi raccolte due spedizioni di piccole dimensioni destinate a carpire i porti di Bisanzio e Anfipoli ed arricchire ulteriormente l'impero decretando una volta per tutte chi ha il controllo del Mar Nero.
![]() |
| A proposito della qual cosa... |
La rottura dell'embargo in una manciata di porti, proprio nel suddetto mare, dopo un primo momento di stupore, appare per quella che è, una manovra disperata e in colpevole ritardo.
Alcune delle nostre navi si raggruppano nei porti più nevralgici per il nemico per offrire una migliore resistenza mentre una flotta viene inviata dall'Egeo per intercettare il trasporto di truppe che non deve raggiungere i nostri lidi e da lì riportare l'ordine sulle acque che controlliamo.
Se pensate però che in questi due anni di numerose conquiste sia stato lasciato libero di godermi i risultati senza interferenze egiziane, permettetemi di deludervi.
|
|
|
||||
|
|
Per quanto concerne gli sconfinamenti in territorio arabo, Taxmaspada si fa sempre trovare pronto, intercettando i nemici, vuoi fuori da Gerusalemme che nei pressi della fortezza alla frontiera.
Forte della possibilità di muovere personale dal confine al centro e viceversa, non deficita mai di uomini abili alla lotta.
![]() |
| La scaletta di Taxmaspada, in attesa di un nome più altisonante. |
![]() |
| Non fate gli spiritosi, un generale ateniese ci prese a calci gli spartani con una linea di fanti obliqua. |
Battuti a più riprese, i tolomei non sembrano afferrare il concetto e a giudicare dal numero degli uomini che si raccolgono vicino a Pelusio, all'ingresso per l'Egitto, c'è da aspettarsi un altro tentativo di invasione, forse meno patetico degli altri.
Viene quindi esortata una risoluzione per la pacificazione dei confini meridionali e vista l'inefficacia dei sistemi diplomatici, non resta che preparare una campagna per strappare il fertilissimo basso Egitto al suo indegno padrone e ricacciarlo in profondità nei territori aridi che gli spettano. Ridotto il suo regno ad una manciata di province, offrirà tutto un altro orecchio alle nostre proposte.
|
|
|
![]() |
| Un po' lontano da casa, ragazzo mio. |
Senza dimenticare che proprio ad est di Kutaisi giace l'ultima conquista macedone, con l'erede al trono isolato con i suoi uomini a rimuginare quando esattamente tutto quanto sia andato a sacerdotesse dei misteri eleusini.





























































