giovedì 1 dicembre 2016

Mitridate VI Nabautore - Dalle stelle alle stalle

Assorbita la sorpresa per l'incursione di una Macedonia in espansione forsennata, passata su Sarmati, Sciti ed Armeni pur di venire ad insultare anche la popolazione del Ponto (ponti?) e ripresa l'offensiva a sud, c'è anche il piano malvagio che sta prendendo corpo al centro dell'impero. 

Benvenuti a KutaAAAAAAAAAH!

Regione d'origine dei georgiani che vide i primi insediamenti già nel terzo millennio avanti Cristo ma di cui si ha il primo riconoscimento ufficiale con ben due millenni di ritardo in un documento del re assiro Tiglathpalazar I, severissimo sulle conseguenze di una malaugurata pronuncia del proprio nome, divenne famosa nel mondo greco quando fu indicata come la meta del mitico viaggio degli argonauti in età micenea.
C'è chi vi situa anche la nazione delle Amazzoni e rimanendo in tema di figure più o meno mistiche subì un forte ridimensionamento territoriale per mano dei Cimmeri, probabilmente guidati da un barbaro imbronciato con l'accento austriaco che soleva ricordare quali erano le gioie della vita tra il roteare lo spadone e il flettere un bicipite smisurato.
Famosa per le riserve di ferro ed oro ebbe importanti scambi commerciali con i greci e secoli più tardi finì sotto la sfera di influenza di Mitridate VI Eupatore, di cui forse avete sentito parlare.
I Romani arrivarono a ficcare il naso anche qui. 

Per il vello d'oro.

Il primo, decisivo scontro con le forze macedoni ha rincuorato l'imperatore Megabyzus, permettendogli di predisporre una difesa più snella a nord-est per poter recuperare truppe utili al prosieguo delle conquiste meridionali ai danni del riottoso Egitto, soprattutto dopo la fortuita scoperta della presenza nientepopodimeno che del faraone Alexandros a Petra.
Con la piazzaforte di Trebisonda saldamente in mano al governatore Ardumanish, forte dei suoi quasi 2.000 uomini e della presenza nell'area del rinforzo di veterani comandati dal capitano Ariobarzanes e delle truppe leggere comunque di stanza nelle vicine Amida e Satala ed alcune truppe pesanti disponibili nella capitale per tappare qualsivoglia buco nella formazione, c'è la possibilità concreta non solo di riprendere l'offensiva a sud di Gerusalemme ma anche di poter minacciare Babilonia.
Le spie sul confine già informano sull'avvicinamento di una nuova forza di invasione in avvicinamento ai territori di Trebisonda ma le truppe di Ariobarzanes vengono invece inviate in pieno territorio armeno per fermare un altro contingente, più piccolo ma retto dai temibili Hypaspistai, opliti in falange davvero devastanti, diretti a Thospia.
L'idea è di rallentare l'avanzata nemica e costringerla a subire perdite su entrambi i fronti per aumentare le nostre possibilità di vittoria, sfruttando il non indifferente vantaggio che le unità macedoni devono essere inviate direttamente dal continente ed avanzare lungo tutta al Sarmazia, avendo l'accesso al Mar Nero negato dalla nostra flotta, o ricorrere ad unità mercenarie locali.
Ciò rende ogni loro caduto un problema più grave di quanto non lo sia mai stato per seleucidi o tolomei, con città di loro proprietà molto più vicine ai campi di battaglia.




In pieno inverno avanziamo nella inospitale regione montana per accerchiare la formazione macedone, meno numerosa ma decisamente motivata. La falange centrale sarà quella che subirà maggiormente la pressione nemica, arrivando ad un attimo dallo spezzarsi.


Per evitare un cedimento potenzialmente catastrofico, aumento l'attività sul fronte sinistro per accelerarne la capitolazione e poter reindirizzare le forze liberate alle spalle degli ipaspisti più problematici.



Con solo 21 uomini rimasti dei 120 iniziali, la falange regge fino all'arrivo dei rinforzi che sgominano in un attimo l'unità macedone rimasta sola ad affrontarli, in un tripudio di picche che mette in ombra l'intrico dei rami della foresta.

Nel frattempo riprende a Gerusalemme l'attività bellica ai danni dei tolomei che dopo la caduta di Bostra tentano di portare la nostra attenzione lontano da Petra e dal faraone che vi soggiorna. La battaglia può essere riassunta dall'immagine che segue.

Aspettatemi!

Con le truppe di Ariobarzanes vittoriose in quel d'Armenia e da lì prontamente rimosse per non causare spiacevoli incidenti diplomatici, giacché non siamo più alleati, nonostante gli interessi combacino, tocca ora ad Ardumanish interrompere il nuovo assedio alla città di Trebisonda contando sulle sue truppe di fanti pesanti e su quelle leggere arrivate in supporto da Satala.

Truppe composte principalmente da opliti marciano fuori dalle porte della città per andare incontro all'invasore.
La disposizione in formazione viene accelerata dall'arrivo dei rinforzi da Satala che senza dubbio attaccherebbero anche senza di noi.
I difensori di Trebisonda si mettono ordinatamente al loro posto e si apprestano a volgere il fronte a destra
dove li attende la linea armata dei macedoni, già posizionatasi lontano dalle mura.
È fondamentale impegnare il nemico prima che sopraggiungano i rinforzi.
Le truppe leggere, da sole, sarebbero ben presto sbaragliate.
La manovra riesce con successo e gli opliti si guadagnano dei varchi nella formazione avversaria.
In questi spazi si insinuano le truppe leggere che perseguitano i nemici in rotta.

Ad inasprire un'altra spettacolare vittoria, nella quale i macedoni lasciano sul campo più di milletrecento uomini, tra i soli duecentoquarantadue caduti pontici si annovera anche il decesso di Kotys, governatore di Satala, perito nel cuore della battaglia.
Nonostante le tre mirabili vittorie contro un nemico all'apparenza colossale che aveva avuto l'ardire di proporci un vassallaggio, sono ora due i nobili di stirpe pontica persi in combattimento.
Questi successi insperati inducono ad approfondire la questione della reale pericolosità macedone.
È pur vero che sono giunti in Colchide ed Armenia per pura forza militare, aggirando il Mar Nero per non destare sospetti, combattendo e sottomettendo barbari sciti e sarmati e riducendo in breve il regno armeno ad una manciata di territori ma è altresì evidente che hanno una discutibile politica di consolidamento.
Le città armene più vicine al confine presentano ancora i segni delle conquiste, con mura e palazzi danneggiati dai passati assedi e la gran parte del personale bellico macedone non sembra reclutato in loco all'infuori di alcune truppe mercenarie.
Pertanto il Ponto fa ufficialmente richiesta all'agenzia di rating per ottenere dati rivelatori.

Qualcuno, recentemente, gli ha decurtato i militari.





 
Qualcuno, recentemente, li ha ridimensionati agli occhi del mondo.

Qualcuno, recentemente, gli ha fatto un embargo grosso così.

Fermo restando che la presenza macedone in Armenia e nel Ponto Minor è tutt'altro che esaurita, resta il fatto che è in diminuzione e che, dati alla mano, sia di difficile restaurazione, rendendo il nemico incapace di sostenere troppe perdite, data la scarsa produzione e l'impossibilità di commerciare per mare, causatagli da un embargo totale ad ogni porto che va dall'Adriatico (fatto salvo un solo molo troppo vicino ai territori romani, meglio non strafare) all'ultimo emporio in Mar Nero.
Con l'economia macedone in piena recessione non è che quella pontica canti di giubilo.
A conti fatti, con guerre protratte a lungo con i tolomei e i seleucidi ed ora con i macedoni, non ho più rapporti commerciali con praticamente nessun vicino, ad eccezione dello sbocco sul golfo arabico guadagnato con Bostra e con i commerci sulla via della seta di cui detengo il monopolio sulla costa mediterranea.
A conti fatti, gran parte dei miei commerci è da e per l'impero stesso.
Risoluto però a mantenere l'impostazione imperiale assunta all'inizio, cioè quella di una bassa tassazione, libertà di culto e integrazione tra i popoli, Megabyzus si fa bastare i buoni risultati economici in attesa di nuove opportunità.

Terza battaglia di Trebisonda.

Sordi alle borse che piangono miseria ed ai lamenti delle vedove in patria, i macedoni persistono nell'attività sul confine nordorientale.
Stavolta Ardumanish non li attende presso le mura  e decide di ingaggiarli in campo aperto, e con solo pochi uomini d'appoggio da Satala in vece dei soldati di Ariobarzanes, impegnati nei pressi di Hatra a dissuadere movimenti seleucidi alla frontiera orientale, ferma un altro contingente di militari macedoni e mercenari traci e sciti.

Mezzi pesanti muovono su Gerusalemme.

Con il valente capitano nelle terre a nord, Ichthysades, preparandosi a muovere verso Petra intercetta con un piccolo contingente un manipolo di egiziani con macchine d'assedio al seguito.
I pochi sopravvissuti fuggono verso la città più vicina, salvo trovarne gli ingressi sbarrati dalla temibile armata del condottiero pontico.
Arrivato troppo tardi per catturare il farone, dovrà accontentarsi del giovane rampollo lasciato a fare la fine del topo.

Buona fortuna con quelle assi di legno.

Con la solita azione demolitrice degli onagri vengono praticati tre ingressi nella palizzata di costosissime, rarissime in pieno deserto, assi di legno per poter facilitare l'ingresso delle truppe d'assalto.

Topi in trappola.

È bene chiarire che a questo punto della campagna meridionale le forze di Ichthysades non hanno avuto modo di venire reintegrate da nuove reclute per non rischiare di lasciar passare un momento tanto favorevole alla conquista, data la recente inattività tolemaica nell'area e per dare la priorità al riarmo, presso Antiochia, degli uomini destinati al conflitto con la Macedonia.
Sbaragliate comunque le poche truppe a difesa dei varchi tre piccole formazioni si muovono per arginare il grosso dei difensori in una delle vie principali e lasciare la piazza centrale vulnerabile.

Chiaramente senza tenere gli onagri a girarsi i pollici.

Il manipolo di peltasti, già gravato dai proiettili incendiari scagliati dall'esterno del perimetro cittadino, a quel punto non possono che capitolare assieme al nobile egiziano vittima degli scontri esauritisi nella via dove lo avevamo confinato.
Questi è nientemeno che il numero trentanove nella vertiginosa potatura dell'albero genealogico faraonico che ormai attinge da personaggi dal sangue reale talmente diluito da provenire da famiglie lontane come i Bianchi o gli Smith.
Riprendiamo quindi le fila del totolomeicidio:
Trentatré trentini entrarono trotterellando su trentatré.
Trentaquattro, alla ricerca del gioiello del Nilo, segue quel poco che ricorda delle tradizione dell'antico popolo egizio fino alle rovine perdute di una sfinge sotterranea che primitive leggende promettono contenere un'arma che Ramesse II, sperimentatala sugli ittiti, sancì troppo pericolosa per il genere umano. Trovando delle incomprensibili istruzioni in geroglifico si suicida lanciandosi dal nasone prominente.

L'arma in questione era la temibile "propaganda".

Trentacinque va a raggiungere gli antenati dopo un'infruttuosa missione diplomatica in Nubia, resa fallimentare per il suo rimarcare con grande tatto l'abbondanza delle forme della preferita del re di Abu-Simbel.
Trentasei muore eroicamente tentando di difendere Gerusalemme.
Trentasette invece si consuma di stenti tentando di far fiorire un'attività di import-export ad Alessandria. Città vittima di embargo pontico da decenni.
Trentotto più saggiamente decide di darsi alla bella vita visto l'aria che tira in famiglia. Un mix esplosivo di birra e salsicce da guinness dei primati lo immortala nella leggenda.
Quaranta invece sfugge ad un agguato a Pelusio, ai banditi nel deserto arabico, alla peste ad Alessandria, ad un pianoforte lanciato dal quarto piano del suo condominio e ad una biga impazzita in centro città.
Muore folgorato da un fulmine in una giornata di sole accecante. Il sicario pontico che lo seguiva da settimane sembra aver abbandonato la carriera per darsi all'eremitaggio.

Cominciano ad essere titubanti.

Dopo aver ormai destinato più della metà del potenziale militare pontico al confine nordorientale e trasformato Trebisonda in un bastione autosufficiente, capace di addestrare e reintegrare truppe pesanti in tempi brevissimi, l'ennesima incursione nemica non desta più tanto scalpore.
Quello che invece preoccupa, stavolta, è il movimento congiunto di ben sei armate, con due direttamente nel Ponto Minor, una terza che sembra giungere in rinforzo ed altre tre, con tanto di nomi illustri al seguito, all'interno del territorio conteso agli armeni.
È evidente che questo è un nuovo impulso alla conquista.
Date le informazioni già raccolte, una sconfitta potrebbe mettere in serio imbarazzo la loro opera di sottomissione.


Non potendo rischiare l'accumularsi di unità nemiche sul nostro territorio e coscienti del fatto che dobbiamo andare oltre il confine per poter dare un po' di respiro agli armeni, onde evitare di vedere estendersi il fronte anche ad Amida, Ardumanish, stavolta provvidenzialmente affiancato dai valorosi veterani di Ariobarzanes, sfida il nemico in attesa.



Sulle coste del Mar Nero, con i rinforzi di Ariobarzanes ancora per strada, il governatore di Trebisonda forza le tappe per intromettersi tra le due formazioni, mettendosi a rischio di un attacco su due lati pur di evitare di dover gestire un rapporto di forze 2 a 1 meglio organizzato.


Riesce così a separare dal primo esercito un buon numero di unità leggere che si trovano contro gli inamovibili scudi degli opliti di Nicomedia, sfruttando la maggiore lentezza delle formazioni di falangiti rimaste indietro.




Quando anche queste ultime si appropinquano minacciando di occupare tutta la linea, che nel frattempo ha visto opliti e lancieri corazzati riposizionarsi dal fronte destro, ora libero, verso quello sinistro che rischiava l'aggiramento, ecco sopraggiungere l'esercito di veterani che attendevamo.




Il loro ingresso disturba e vanifica l'aggiramento della mia formazione primaria e riequilibra il numero delle forze in campo, consentendo alla prima linea di mantenersi salda e compatta fino alle prime avvisaglie di cedimento del nemico.

Cavalleria in fuga.

Capitano sopraffatto.





La neutralizzazione delle unità di cavalleria e l'uccisione del capitano macedone innescano la fuga di diversi soldati ormai demoralizzati e pertanto comincia l'affannosa attività di inseguimento e rimpasto.



L'intensa attività iniziale a grande rischio ha portato sì ad un risultato enormemente positivo ma con sé aveva anche il caro prezzo in vite umane. Rimane però chiaro che i nostri caduti saranno facilmente e celermente rimpiazzati a Trebisonda, mentre i veterani e gli ipaspisti macedoni sono persi per la campagna attuale.

Buona fortuna con la guerra in Armenia.

Con la distruzione delle due armate destinate a tenerci dentro i nostri confini possiamo ora concentrarci sulla questione armena, ipotizzando un'altra incursione per mettere il bastone tra le ruote all'iperattivo generale macedone.
Come ormai ben sappiamo, il destino beffardo ci mette del suo.


Un grande contingente di cavalieri parti si palesa in Armenia.
Ufficialmente non è in conflitto con i macedoni ma condivide un'alleanza con noi e con gli armeni.


Due eserciti delle tribù germaniche, che insieme a romani e macedoni (tsè) si spartiscono i primi tre posti nella catena alimentare, fanno il loro ingresso nella scacchiera sempre più affollata del Mar Nero. In pieno territorio macedone.

Sembrano interessati in particolar modo alla città ribelle di Tanais, da poco liberatasi dal giogo macedone e da questi minacciata nuovamente. Il porto cittadino è il più grande di tutto il Mar Nero e aprirebbe i germani alle mie vaste rotte commerciali.
Queste novità stanno a segnalare che il nemico macedone è ora in seria difficoltà su diversi fronti.
Il gran numero di morti nelle guerre col Ponto li ha privati di un considerevole numero di soldati che devono giungere necessariamente dalla Grecia continentale, passando per territori ora in rivolta e su cui ha posato l'occhio la nazione germanica.
I Parti sono risaliti fino ai monti armeni e non sembrano preoccupati dal numero di potenziali nemici e comunque rappresentano una minaccia in più per un esercito sempre meno numeroso sul territorio.
La presenza dei germani mi autorizza a sperare che il mio piano malvagio possa essere più che mai efficace ora che qualcosa destabilizza la linea di approvvigionamento macedone.
Posso guardare oltre Trebisonda e posare gli occhi su Kutaisi.
Città sottratta alcuni anni fa agli armeni all'inizio della loro opera di conquista è posta proprio lungo la costa che tanto diligentemente hanno seguito per arrivare fin qui ed è un comodo portale d'ingresso all'Armenia.
Con tutti gli effettivi nuovamente ai loro posti, Ardumanish muove alla conquista di Kutaisi con tutta la sua mole, lasciando Trebisonda alla cura di alcuni reparti giunti dalla capitale e chiedendo ad Ariobarzanes di penetrare nei territori macedoni da Amida, per garantirsi di non avere tutte le unità nemiche alle calcagna.
Alle porte della città, con forze macedoni considerevoli sparse nelle immediate vicinanze, Ardumanish avvia una trattativa diplomatica nelle quale chiede la cessione della città e il pagamento di un tributo per evitare il conflitto.
La risposta macedone ha dell'incredibile...

Per favore non attaccate.
L'inaspettata controproposta è di acconsentire a cedere la città previo pagamento di poco più di 19.400 talenti, pressappoco la metà del mio tesoro, e di consentire una ritirata dei difensori.
La conquista territoriale meno sanguinosa del Ponto si conclude con l'acquisizione di una piazzaforte che, sebbene necessiti di alcuni restauri, mai avviati dai precedenti proprietari, sempre più evidentemente alla canna del gas, viene in dote di un piccolo esercito di tutto rispetto, un potenziale economico notevole ed infrastrutture che sanciranno un vantaggio considerevole nella mia opera di espansione ad oriente.

Non si era mica parlato di una tregua, comunque.
Lasciato solo a gestire il confine, con Ardumanish a Kutaisi e Ariobarzanes oltre le linee nemiche, il nuovo governatore di Amida, successore di Rhadesades, con un misto di cavalieri galati e pontici intercetta alcune truppe di elite macedoni e le rimuove dal campo.

Dietro le suddette linee nemiche...

Da parte sua il già famigerato capitano, ben conscio dell'importanza di eliminare ogni truppa macedone possibile, intrappola su un'altura un assembramento di sopravvissuti a diverse sfortunate battaglie con il suo esercito multicolore di pontici, persiani, greci e galati.


Avanzando direttamente sul nemico con il grosso delle truppe pesanti, lascia l'aggiramento ai galati che con la loro tipica irruenza costringono il nemico ad un tira e molla che mi lascia sempre il lusso di decidere dove colpire più duro.

Una picca alle spalle. Brutto modo di andarsene.

Bonus: con la scusa che i ribelli sono ad ingaggio libero
i germani cominciano a guastare la festa macedone.

A questo punto Ichthysades può cominciare a preparare la sua forza d'invasione, sancendo la messa in atto della fase B del piano malvagio. Commissionata la costruzione di altri quattro onagri a Tarso e richiamate truppe da Ancira, Nicomedia, Cipro ed Antiochia, resta da configurare la difesa dei nuovi territori sottratti agli egizi, ora ricacciati dalla penisola arabica presso i confini originali del loro regno.

Fratelli in arme.

Come per l'impero persiano, così le forze armate del Ponto si distinguono per l'aperta politica d'integrazione razziale, anche in seno all'esercito. Così, più per necessità che per progresso, si affida le difesa dell'Arabia Petrea, della Nabatea e della Giudea alla città di Gerusalemme ed al suo giovane governatore che prende ogni uomo disponibile dove può.
Persiani, greci, galati, ponti, arabi, georgiani, tutto fa brodo.

Fase B completata.
Nei porti di Sidone ed Antiochia, intanto, si stanno imbarcando due poderosi eserciti diretti verso una meta folle.

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